Il Circo dell’Ignorantezza

Quanto può Durare uno Spettacolo Senza Arte né Pubblico?

«La guerra è il più grande fallimento dell’intelligenza. E quando diventa routine, non è più nemmeno tragedia: è solo volgarità.»

Il conflitto come spettacolo deformato

Signori miei, qui non stiamo parlando di poesia, né di arte, né di civiltà. Qui stiamo assistendo a uno spettacolo volgare, osceno, un teatrino di insulti e macerie. Israele da una parte, i palestinesi dall’altra, l’Iran che fa da regista nell’ombra. Un’opera teatrale senza attori degni, senza regia degna, senza scenografia degna: una farsa che si ripete da decenni.

Israele urla: “Abbiamo diritto alla sicurezza, dobbiamo difenderci!”.
La Palestina urla: “Abbiamo diritto alla libertà, ci state rubando tutto!”.
E l’Iran, da dietro le quinte, grida: “Israele deve sparire!”.

Risultato? Nessuno ascolta, tutti gridano. È un dialogo fra sordi. È una rissa da bar travestita da storia millenaria.

Israele: la democrazia con l’elmetto

Israele si presenta al mondo come la grande democrazia del Medio Oriente. Tecnologia, università, startup, innovazione. Tutto vero. Ma è anche una democrazia con l’elmetto, che usa il manganello dell’esercito come se fosse il prolungamento della Costituzione.

Le colonie in Cisgiordania? Un’espansione continua, una ragnatela di cemento che si allarga senza chiedere permesso. Ogni casa costruita là dove abitava un palestinese è una firma sull’atto di morte della convivenza. Eppure Israele continua: costruisce, pianta bandiere, traccia muri.

Palestina: la disperazione che diventa martirio

I palestinesi, dal canto loro, hanno la tragedia nel sangue. Ma attenzione: non sono tutti eroi romantici. In Cisgiordania, la leadership di Fatah è spesso corrotta, logora, incapace di guidare. A Gaza, Hamas governa con la logica del bunker: autoritario, religioso, ossessivo.

E cosa fanno? Lanciano razzi che cadono dove capita, come se la vendetta fosse un fuoco d’artificio. Non è arte, non è eroismo: è disperazione che diventa spettacolo macabro.

Il loro dramma è vero, la loro sofferenza è autentica. Ma i loro leader trasformano questa sofferenza in strumento politico. Anche qui: IGNORANTI!

L’Iran: il regista nell’ombra

Ed ecco l’Iran. Non lo si vede sul palco, ma muove le corde del sipario.
Finanzia Hamas, arma Hezbollah, lancia proclami infuocati contro Israele. “Il regime sionista deve sparire!”, gridano gli ayatollah.

Ma perché? Non per amore della Palestina, sia chiaro. Se i palestinesi domani avessero uno Stato libero, democratico e laico, l’Iran non lo sopporterebbe. No: la Palestina serve all’Iran come bandiera, come grimaldello, come pretesto. È un’arma di propaganda.

E allora, ditemi: dov’è l’arte, dov’è la grandezza in tutto questo? Nessuna! Solo strategia, cinismo, potere.

Il linguaggio degli insulti

Israele e Palestina non si parlano: si insultano.
Israele dice: “Siete terroristi!”.
La Palestina risponde: “Siete occupanti!”.
L’Iran aggiunge: “Siete un’intrusione da cancellare!”.

È un teatro dell’assurdo, dove ogni battuta è un insulto. Altro che Sofocle o Shakespeare: qui siamo a livello di rissa tra condòmini. E la platea mondiale guarda, applaude o fischia, senza mai fermare lo spettacolo.

Come ha mostrato Edward Said in La questione palestinese, la tragedia non è solo politica: è soprattutto una lotta di narrazioni, in cui chi ha la voce più forte impone la propria versione della realtà, mentre l’altro viene ridotto al silenzio.

L’assenza di bellezza

Ecco il punto che mi fa urlare: in questa guerra non c’è bellezza.
Non c’è la bellezza di un’arte che sublima il dolore.
Non c’è la grandezza di un gesto politico che apre alla speranza.
Non c’è neanche la nobiltà di un conflitto epico.

C’è solo volgarità, macerie, sangue, bambini morti. È la banalità della violenza, ripetuta all’infinito. E allora grido: IGNORANTI! Perché non è solo violenza: è ignorantezza travestita da politica, da religione, da ideologia.

Ed è qui che il racconto di Ari Shavit in La mia terra promessa. Israele: il sogno e la tragedia appare in tutta la sua attualità: perché non si tratta di scegliere da che parte stare, ma di riconoscere che la nascita di Israele porta con sé, nello stesso gesto, la grandezza di un sogno e l’abisso di una tragedia.

L’arte come mancanza

Immaginate se Michelangelo avesse scolpito il David per colpirlo a martellate. Immaginate se Caravaggio avesse usato i suoi chiaroscuri per accecare invece che per illuminare. Questo è ciò che fanno israeliani, palestinesi e iraniani: usano il loro dolore non per creare, ma per distruggere.

Ecco la tragedia: un conflitto senza arte, senza estetica, senza futuro.

Rifletti: è la volgarità come sistema

Israele, Palestina, Iran: tre attori incapaci di scrivere un copione degno.
Uno si traveste da democrazia, ma costruisce muri.
L’altro si traveste da vittima, ma si condanna da solo a essere martire.
Il terzo si traveste da liberatore, ma è solo un regista manipolatore.

E allora sì: questo conflitto non è una tragedia greca. È una soap opera di bassa lega, ripetuta per decenni, che il mondo guarda in silenzio.
E l’unico grido che rimane è questo: IGNORANTEZZA!

Un’immagine che si avvicina molto a questa realtà l’ha descritta Avi Shlaim in Il muro di ferro: un mondo dove la politica non costruisce ponti, ma barriere, e la forza diventa l’unico linguaggio ammesso.

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