L’eredità mesopotamica? Una sbornia politeista meglio del dopocena cristiano (con Israele e Iran che si scannano sul nulla)
Immagina – se proprio non puoi farne a meno – di catapultarti indietro nel tempo, sulle rive impolverate del Tigri e dell’Eufrate, mentre il caldo ti stacca la pelle e le zanzare ti suggeriscono bestemmie in lingue mai morte. Sei nella Mesopotamia, sì, quella che qualche libro scolastico ha osato chiamare culla della civiltà, come se le doglie della storia meritassero un elogio postumo.
Qui, l’uomo non pregava per “credere” – pregava per esistere. E Dio non era un codice penale galattico ma una corrente d’aria che ti spettinava i pensieri. Il sacro non si declinava in versetti ma in raccolti, orgasmi, e burrasche. Altro che i comunicati ONU.
Ogni città con il suo dio: Inanna non era “la dea dell’amore” come una cheerleader del divino, ma il desiderio che ti prende allo stomaco e ti fa fare sciocchezze. Enlil non comandava il vento, era il vento. E nessuno – ripeto, nessuno – ha mai pensato di fare una guerra per “esportare” la propria divinità nella città accanto. Semmai si mettevano d’accordo tra sacerdoti per non farsi pestare il mercato.
Poi, secoli dopo, è arrivato il Monoteismo. Quello con la M maiuscola e il dito puntato. Prima in versione ebraica, poi cristiana, poi musulmana, poi atea ma sempre con lo stesso vizio: un solo Dio, una sola Verità, un solo popolo eletto alla volta. E da lì, la guerra non è più una rissa tra pastori per l’acqua, ma una crociata metafisica con tanto di razzi benedetti.
Oggi Israele e Iran si guardano da dietro i missili come due divinità incazzate che si sono dimenticate di essere inventate dallo stesso sarto. Non combattono per la terra: combattono per il cielo. E nel frattempo lo fanno a pezzi.
Là dove un tempo si danzava nudi per richiamare la pioggia, oggi si marcia in uniforme per far piovere piombo. Là dove il sacro era il grano che cresceva, ora è la bandiera che si alza. E il sangue versato ha perso ogni potere simbolico: è solo un bilancio da leggere in TV.
Gilgamesh almeno cercava l’immortalità per disperazione. Oggi la cercano per procura, dentro un bunker, mentre ordinano altri droni. Il Dio sumero ti guardava sudare. Il Dio moderno ti ordina di morire.
E mentre le bombe cadono su chi non ha nemmeno un Dio da pregare, l’umanità crede ancora che esista un “nemico” al di là del proprio specchio. Quando invece è solo la propria ombra, gonfiata di preghiere e armi occidentali.
E se c’è un’eredità da salvare, non è quella mesopotamica né quella biblica: è la vergogna di chi sapeva di non sapere. Quei popoli antichi, con tutti i loro dei e i loro errori, almeno non si sono mai messi in testa che una sola voce potesse spiegare l’universo. Noi invece ci uccidiamo per dimostrare di avere l’unica parola giusta, scritta in un libro che non leggiamo nemmeno più.
Ah, e per chi se lo fosse scordato: l’Homo sapiens, quello vero, non è nato a Ur, né a Gerusalemme, né a Teheran. È nato in Africa. E l’unica cosa che ha davvero portato con sé è stata la paura. Che poi ha chiamato Dio.