Benvenuti al Gran Teatro dell’Illusione Volontaria

L’arte sublime dell’illusione volontaria

Non sei un coglione se ti illudi.
Sei un coglione se ti illudi e poi fai finta di non averci messo tu la firma sul contratto.

C’è chi crede che l’illusione sia una trappola, un inganno teso da mani esperte, da burattinai invisibili che ci fanno danzare sulle punte delle nostre stesse incertezze. Ma la verità, se così si può chiamare, è che l’illusione non si impone: la si accoglie, la si invita a cena, la si veste a festa e la si lascia dormire nel proprio letto.
Illudersi è un atto di libertà, un gesto di raffinata complicità con il proprio desiderio di non vedere, non sapere, non dover affrontare la nudità cruda della realtà.

La scelta di essere complici

Non c’è vittima nell’illusione, solo coautori.
Chi si lascia illudere non è un ingenuo, ma un artista della propria messinscena.
Scegliere di credere a qualcosa – o a qualcuno – è un atto di creazione, un modo di dare forma e colore ai vuoti che ci abitano.
È come scegliere il filtro con cui guardare il mondo: un velo di seta, una lente colorata, una maschera che si adagia perfettamente sulle ossa del volto.

Illudersi, dunque, non è subire, ma partecipare.
È abbracciare la propria parte nella commedia dell’esistenza, sapendo che il copione lo scriviamo a quattro mani con il destino, e che spesso la penna è la nostra.

Il piacere sottile del travestimento

La vita, in fondo, è un ballo in maschera dove ognuno si traveste da ciò che desidera essere, o da ciò che teme di diventare.
I veli che indossiamo non sono imposti da altri:
li scegliamo, li ricamiamo con pazienza, li indossiamo con orgoglio o con vergogna, ma sempre con consapevolezza.
Smascherarsi non significa rivelare una verità nascosta, ma solo togliere uno strato di tessuto per scoprirne un altro, forse più sottile, forse più resistente.

Controbattere a chi ci illude, a chi ci racconta storie, non serve a svelare trame oscure.
Serve solo a ricordarci che i primi a voler essere ingannati siamo noi.
Che la verità, quando arriva, spesso ci trova già pronti a voltarle le spalle, a cercare un’altra illusione più confortevole, più adatta alle nostre fragilità.

La domanda che non si fa mai

Se vuoi davvero capire, non chiederti chi mente.
Non inseguire il colpevole, non cercare il burattinaio.
Chiediti, piuttosto, cosa hai scelto di credere.
Quale storia ti sei raccontato, quale favola hai preferito alla realtà.
E soprattutto: perché?

Perché hai bisogno di credere che l’amore sia eterno, che il dolore abbia un senso, che la felicità sia dietro l’angolo?
Perché preferisci la carezza di una menzogna alla sferza di una verità?
Forse perché la menzogna consola, protegge, avvolge come una coperta nei giorni di tempesta.
Forse perché la verità, nuda e cruda, non ha mai fatto innamorare nessuno.

Il lusso della disillusione

Disilludersi non è una sconfitta, ma un lusso.
È il privilegio di chi ha amato fino in fondo la propria illusione, di chi l’ha vissuta come si vive un grande amore: con passione, dedizione, consapevolezza che prima o poi finirà.
E quando finisce, resta il sapore dolceamaro della libertà:
la libertà di scegliere una nuova illusione, o di restare per un po’ nel vuoto che lascia.

La disillusione è il risveglio dopo un sogno troppo bello per essere vero.
È la luce che filtra dalle persiane chiuse, il caffè amaro del mattino, la consapevolezza che tutto ciò che abbiamo creduto era vero solo perché lo volevamo.

L’illusione come opera d’arte

L’illusione non è fregatura, ma complicità.
Non sei stato “fottuto”, ci sei andato volontariamente a letto con la fantasia, perché in quel momento era più sostenibile, più affascinante, più utile della realtà cruda.

Illudersi è un’arte, e come tutte le arti richiede talento, esercizio, dedizione.
Bisogna imparare a riconoscere le proprie debolezze, coltivare le proprie nostalgie, scegliere con cura le menzogne a cui affidarsi.
Bisogna saper distinguere tra l’illusione che eleva e quella che distrugge, tra il sogno che dà senso alla vita e quello che la svuota.

E allora, forse, si può vivere senza paura di essere ingannati.
Perché si sa che l’inganno più grande è quello che scegliamo ogni giorno, davanti allo specchio, quando decidiamo chi vogliamo essere e cosa vogliamo vedere.

Epilogo: la libertà di illudersi

Non c’è nulla di più umano che illudersi.
È un diritto, un piacere, una necessità.
È il modo in cui diamo senso al caos, in cui costruiamo ponti tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere.
L’illusione non è una fuga, ma un viaggio.
Non è una debolezza, ma una forza.

E allora, la prossima volta che ti sorprenderai a credere in qualcosa di troppo bello per essere vero, non sentirti sciocco.
Sii fiero della tua scelta.
Perché illudersi è vivere due volte:
una nella realtà,
l’altra nella possibilità.
E la possibilità, si sa,
è il vero motore di ogni esistenza degna di essere raccontata.