I Protagonisti del Bar. Quando l’opinione diventa tifo, la verità si perde tra narrazioni e simpatie personali.
Ipotesi o Romanzo? La Politica Vera non si Fa con le chiacchiere al Bar

“La politica, quella vera, non si muove con i post ma con gli eserciti, le banche e i trattati.”

Ogni tanto capita di sentire personaggi televisivi, intellettuali o opinionisti presentati come se potessero decidere le sorti del mondo. C’è chi li difende come eroi, chi li insulta come traditori. Ma la domanda che bisogna farsi è molto più semplice: davvero Netanyahu, Putin, Trump o Xi Jinping passano le giornate a leggere quello che scrive Travaglio, Orsini, Odifreddi o Di Battista?

Ecco, se pensiamo questo, siamo già dentro a una narrazione romanzata, non a un’analisi della realtà

Ed è qui che si vede il vero meccanismo dei discorsi da bar e da social: siccome una cosa ci piace diciamo che è vera. Ti piace Sadhguru? Allora tutto quello che dice è vero. Ti piace Travaglio? Allora è lui che ha sempre ragione. Ti piace Di Battista? Diventa il difensore della patria.

È un trucco sottile che usiamo tutti: confondiamo ciò che ci emoziona o ci consola con la verità. Ma il fatto che qualcosa ci emozioni non la rende automaticamente reale.

Parte 1 – Il metodo storico (ipotesi vs narrazione)

Lo storico, o chi si informa davvero, quando lavora si muove su due piani:
– il dato documentato (le fonti, i fatti verificabili),
– l’ipotesi (cioè un ragionamento costruito su quei dati).

Il problema nasce quando dal dato si passa direttamente alla narrazione romanzata: gli intellettuali diventano protagonisti di epopee politiche che nessuno, ai vertici del potere, prende davvero in considerazione.

Un’ipotesi seria è: se la Cina continua a rafforzare la sua flotta nello Stretto di Taiwan, il commercio mondiale subirà un impatto.
Una narrazione romanzata è: la Cina ha già deciso di bloccare l’Occidente e il destino dell’umanità si gioca lì.

La prima è un’analisi, la seconda è un romanzo.

Parte 2 – La politica reale

A quei livelli non contano le parole di un post, ma i rapporti di forza. Contano gli eserciti, i bilanci statali, i trattati commerciali, le alleanze militari. Sono queste strutture – governi, multinazionali, apparati militari e finanziari – a decidere davvero gli equilibri globali, non certo le chiacchiere da bar o le frasi a effetto in TV.

Ed è qui che emerge un punto che spesso sfugge agli sproloqui da bar: l’Italia, ad esempio, non è un soggetto pienamente autonomo, ma uno Stato satellite o "pedina geopolitica" della potenza americana. Significa che le grandi decisioni di politica estera e di sicurezza non partono da Roma, ma da Washington. 

Un po’ come se un figlio, prima di decidere cosa fare nella vita, dovesse sempre chiedersi: “cosa ne pensa mio padre?”, perché senza il suo consenso non può muoversi. Parlare di “sovranità” senza tenerne conto di questi vincoli esterni – militari, economici e strategici – è come discutere di calcio ignorando l’esistenza delle regole del gioco. 

Le narrazioni servono a un’altra cosa: a mobilitare l’opinione pubblica, a semplificare questioni complesse, a creare eroi e cattivi.

Pensiamo a Netanyahu: quando dice che “i palestinesi sono tutti terroristi”, non sta facendo analisi storica, sta costruendo un racconto politico per giustificare le sue scelte. È una storia che funziona mediaticamente, ma non spiega davvero come funzionano gli equilibri di potere in Medio Oriente.

Un altro esempio è quello di Sadhguru, che il 27 giugno 2019 ha parlato nella Sala delle Assemblee dell’ONU a Ginevra, davanti alla dott.ssa Soumya Swaminathan (OMS) e a Francis Gurry (OMPI). Una scena di grande prestigio, che ha dato a molti l’idea che fosse lì a cambiare le sorti del pianeta.

Ma davvero basta un guru che parla mezz’ora all’ONU per ribaltare le decisioni prese da governi, eserciti, banche e multinazionali? Ovviamente no: quelle scelte si fanno nei corridoi del potere, non sul palco delle conferenze.

Eppure, rispetto a un Travaglio, un Orsini, un Odifreddi o un Di Battista, Sadhguru ha già fatto un passo avanti: non si è limitato alle chiacchiere da talk show o ai post su Facebook, ma ha portato la sua voce dentro un’arena globale. Non cambia le strategie, ma cambia l’immaginario. Non decide i trattati, ma entra nel racconto collettivo.

E questa, che piaccia o no, è già una differenza enorme: perché tra un intellettuale che arringa al bar e uno che porta la sua narrazione all’ONU, la distanza è la stessa che passa tra un romanzo autoprodotto e un premio internazionale.

“Chi non distingue ipotesi e narrazione finisce a discutere di romanzi politici, senza accorgersi che spesso non siamo giocatori, ma burattini mossi da altri.”

Parte 3 – L’illusione del protagonismo

E allora, quando difendiamo Travaglio, Orsini, Odifreddi o Di Battista come se fossero i nuovi difensori della patria, rischiamo di cadere nello stesso tranello.

Un conto è riconoscere che portano idee, un conto è immaginare che i destini geopolitici si decidano in base alle loro opinioni. La politica reale non funziona così. Non si governa con i talk show, ma con accordi energetici, basi militari, pressioni economiche.

Se vogliamo capire la realtà, dobbiamo distinguere:
– il dato (che cos’è successo),
– l’ipotesi (cosa potrebbe succedere in base ai dati),
– la narrazione (il racconto suggestivo che ci seduce, ma non cambia i rapporti di forza).

Rifletti

Alla fine, la differenza è semplice: se non distinguiamo ipotesi e narrazione, allora finiamo a discutere di romanzi politici che non esistono. Ed è un po’ come pensare che l’Impero Romano sia caduto perché i senatori litigavano troppo, invece che per questioni molto più concrete: soldi, eserciti, territori.

La politica, ieri come oggi, si muove con la forza delle strutture, non con i post su Facebook o gli sproloqui da bar.

E la vera domanda è: perché in Italia i sacerdoti del sapere da bar, con i loro post su Facebook, non sono capaci di controbattere le narrazioni dei bulli americani?

Perché il punto è proprio questo: in Italia non esiste una classe davvero autonoma e intelligente capace di farlo. Al suo posto ci sono i sacerdoti del sapere da bar, che invece di essere alternativa diventano specchio: uno specchio deformante, che riflette il chiasso, le opinioni superficiali, le illusioni di protagonismo.

Forse perché l’Italia non è neppure una pedina: è un burattino compiacente, che chiama “sovranità” il privilegio di farsi muovere dalla monarchia americana.

“Questo articolo nasce proprio lì, tra i tavoli di un bar, dove i litigi iniziano sempre così: ti piace Sadhguru? ti piace Travaglio? ti piace Di Battista? Come se bastasse il gusto personale per decidere cosa è vero e cosa no. È lì che capisci quanto spesso scambiamo simpatia per verità, e narrazione per realtà.”

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