L’Immagine di Sé e il Sé Profondo
"L’immagine di sé è davvero chi sei o solo un mosaico provvisorio? Tra mosaici interiori, oceani calmi e il coraggio di controbattere alle illusioni"
Un mosaico che cambia volto
Quando parliamo di immagine di sé, la tentazione è sempre quella di pensare a qualcosa di fisso: “io sono fatto così”, “questo è il mio carattere”, “questo è il mio limite”. In realtà, storicamente e filosoficamente, questa idea di fissità è stata smontata più volte. Basta guardare al Rinascimento, quando la visione dell’uomo come creatura immutabile di stampo medievale si è trasformata in quella di un essere in continua costruzione, capace di reinventarsi attraverso arte, scienza e cultura.
L’immagine di sé è infatti un mosaico, e le sue tessere sono costituite dalle esperienze quotidiane, dalle credenze che ci portiamo dietro e dalle emozioni che ci attraversano. È un’opera sempre in divenire: oggi una tessera cade, domani ne aggiungiamo un’altra, e il disegno cambia. Ma, come in ogni mosaico antico, quello che vediamo in superficie non esaurisce mai l’intero significato.
L’oceano sotto le onde
Qui entra in gioco il concetto di Sé profondo. Se il mosaico rappresenta ciò che mostriamo e raccontiamo, il Sé profondo è ciò che rimane quando tutte le tessere cadono. Possiamo immaginarlo come un oceano: in superficie le onde si agitano – emozioni, pensieri, paure, entusiasmi – ma sotto, le acque restano calme e immutate.
E attenzione: questo non è il tipo di costruzione che la filosofia antica o la teologia medievale amavano proporre. Aristotele parlava di entelechia, i cristiani inventarono l’idea di anima immortale. Ma in entrambi i casi si trattava di astrazioni, concetti che pretendevano di spiegare l’uomo senza offrirgli nulla di pratico. Erano sistemi pensati più per mantenere un ordine culturale che per aiutare davvero qualcuno a stare meglio con se stesso.
Il Sé profondo, invece, non è un’invenzione metafisica: è un’esperienza. Non lo si “crede” per fede, lo si riconosce nel corpo e nella coscienza. Non serve un dogma per sperimentarlo, serve la capacità di fermarsi e osservare. Qui non siamo nel terreno delle ipotesi filosofiche o dei decreti religiosi: siamo di fronte a una presenza concreta, che ognuno può sentire quando smette di identificarsi solo con i propri pensieri.
A differenza delle illusioni filosofiche o religiose che lo descrivevano come un concetto astratto o come un’anima immobile, il Sé profondo non è un vuoto: è una sorgente fertile. Dentro quell’oceano non c’è il nulla, ma un potenziale infinito di nuove immagini di sé che aspettano solo di essere esplorate, riconosciute e vissute.
Obi-Wan Kenobi e la forza interiore
Non a caso, nel cuore della cultura popolare troviamo una frase di Obi-Wan Kenobi che sembra uscita da un manuale di filosofia pratica. Nelle Guerre Stellari, il maestro Jedi ricorda che la Forza interiore è ciò che ci sostiene quando tutto sembra vacillare. È un’immagine potente, capace di parlare anche a chi non ha mai sfogliato un libro di filosofia: pochi secondi di cinema che aprono a un’intera cosmologia interiore.
Ma qui sta il punto: il cinema riesce a evocare queste profondità, a farci intuire che dentro di noi esiste una forza calma e costante. Solo che, sullo schermo, questa intuizione rimane cinematografica: ci emoziona per due ore, ma difficilmente ci indica il come entrarci davvero. Lì vediamo un Jedi chiudere gli occhi e respirare, ma nessuno ci spiega cosa significhi nella nostra quotidianità, nel traffico, in ufficio, durante una discussione con chi amiamo.
Il Sé profondo, invece, non è una trovata scenica. Non lo si vive come spettatori, ma come protagonisti. È come se, dietro ogni proiezione cinematografica, ci fosse un proiettore reale: i nostri pensieri ed emozioni sono il film, a volte drammatico, a volte comico, ma sempre mutevole. La luce che lo rende visibile, invece, è stabile. Quella luce non appartiene al regista, non è una metafora da sala buia: è la presenza che ciascuno può riconoscere dentro di sé, qui e ora, quando decide di fermarsi e guardare.
Osho e il viaggio nel Sé
Se vogliamo strumenti concreti per attraversare queste acque interiori, un riferimento utile lo troviamo in Osho e nel suo “Il libro dei segreti”. Qui non si parla di teorie astratte, ma di tecniche pratiche: respirazioni, visualizzazioni, esercizi di concentrazione che servono a riconnetterci con quella sorgente stabile che è il Sé profondo.
Il valore di questo approccio non sta nell’aggiungere un’altra tessera al mosaico dell’immagine di sé, ma nello scoprire che dietro il mosaico c’è un intero paesaggio nascosto. Un paesaggio che non cambia al mutare delle circostanze, e che possiamo imparare a riconoscere ogni volta che ci fermiamo, respiriamo e lasciamo scivolare via le onde.
Il Sé profondo come strumento di relazione
Ma qui arriviamo a un passaggio cruciale: perché tutto questo dovrebbe interessarci non solo come percorso individuale, ma come chiave per vivere meglio insieme agli altri?
Perché riconoscere che la nostra immagine di sé è mutevole e illusoria ci aiuta a guardare anche gli altri con maggiore compassione. Non vediamo più soltanto il volto agitato dall’onda del momento, ma intuiamo che sotto quella superficie c’è un oceano calmo che attende di essere riconosciuto. E questo cambia tutto: nelle relazioni, nei conflitti, persino nei dibattiti quotidiani.
Pensate alla politica, ai social, alle discussioni da bar. Quante volte le persone reagiscono solo con la loro immagine di sé ferita o orgogliosa? Se invece ci radichiamo nel Sé profondo, la nostra capacità di controbattere non si limita più a difendere un ego fragile, ma diventa un gesto intelligente, sereno, che apre possibilità di dialogo.
Controbattere senza farsi travolgere
Ed è qui che il tema si collega direttamente alla missione di Controbattere – Oltre il Pensare. Controbattere non significa urlare più forte o avere sempre ragione, ma imparare a rispondere dal livello più profondo, senza lasciarsi trascinare dalle emozioni immediate.
Ecco perché la distinzione tra immagine di sé e Sé profondo non è solo una questione filosofica: è uno strumento pratico di libertà. La libertà di non essere ostaggi delle proprie paure o dei propri desideri momentanei. La libertà di vedere se stessi e gli altri con occhi più limpidi.
Come in un dibattito storico – immaginate il Parlamento inglese del Seicento o una disputa universitaria medievale – il valore non sta tanto nel vincere la schermaglia verbale, ma nel far emergere nuove prospettive. E questo è possibile solo se dentro di noi non siamo agitati dalle onde, ma radicati nell’oceano.
Verso le prossime riflessioni
Nel prossimo articolo, continueremo questo percorso seguendo le esperienze di Roberta e Andrea, due figure che ci accompagneranno come esempi concreti. Attraverso di loro vedremo come la consapevolezza del Sé profondo possa trasformare le interazioni quotidiane: dalle incomprensioni con un collega alle tensioni in famiglia, fino alle sfide più intime.
E per chi non vuole aspettare, l’invito è chiaro: tornare alle pratiche. “Il libro dei segreti” di Osho rimane una bussola preziosa per iniziare subito a esplorare. Perché, come ogni buon storico sa, la teoria senza pratica è sterile. Ed è proprio nella pratica quotidiana che impariamo a riconoscere la differenza tra l’immagine che crediamo di essere e la luce che davvero siamo.
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