Osho, l’Illuminazione e l’Intelligenza del Corpo
Guardare oltre la mente, come il cielo guarda passare le nuvole.
Quando si parla di Osho – o meglio, di Rajneesh Chandra Mohan Jain, nato l’11 dicembre del 1931 a Kuchwada, in India – il rischio è sempre quello di cadere in due estremi: o lo si riduce a un santone New Age, a metà tra guru e fenomeno mediatico, oppure lo si esalta come fosse l’unico vero maestro spirituale del Novecento. E invece, come sempre, la verità è più complessa e più interessante.
Per capire chi era Osho, bisogna partire da un episodio centrale, che lui stesso raccontava spesso: il 21 marzo 1953, quando, a ventun anni, ebbe quella che in Oriente chiamano illuminazione. Ora, non immaginatevi un tuono dal cielo o una visione mistica da film hollywoodiano. L’illuminazione di cui parla Osho è una trasformazione interiore, quasi fisiologica: “la goccia che si fonde nell’oceano”, ma anche, come spiegava lui, la caduta improvvisa di tutte le maschere con cui ci identifichiamo – la paura, i ruoli sociali, le aspettative.
Un giovane filosofo in India
Osho era un ragazzo inquieto, insofferente a ogni autorità. Sfida la religione della sua famiglia, sfida gli insegnanti, eppure studia con intensità. Nel 1956 si laurea in filosofia e comincia la carriera accademica, arrivando a insegnare all’università di Jabalpur. Ma sente che la filosofia occidentale, pur con tutta la sua grandezza, non basta. Come direbbe lui stesso: la mente è un “strumento matematico”, utile ma insufficiente a cogliere l’essenza della vita.
È qui che si inserisce il nodo centrale del suo pensiero: per Osho, la mente è la malattia. Non nel senso che sia inutile, ma nel senso che la civiltà moderna l’ha trasformata in un idolo. Per la psicologia occidentale, al di là della mente non c’è nulla. Per Osho, invece, al di là della mente comincia la vera salute.
L’illuminazione come evento corporeo
Non sei i tuoi pensieri, sei lo spazio in cui i pensieri passano.
E veniamo a quella giornata di marzo. Lui stesso racconta che all’improvviso cadde in uno stato di silenzio assoluto. Il corpo respirava, ma non c’era più il brusio continuo dei pensieri. Non era più “Osho il giovane filosofo”, non era più un ragazzo con delle ansie. Era, semplicemente, presenza pura.
E qui si può fare un collegamento interessante con la filosofia del corpo. Perché Osho non parla mai di illuminazione come di un’idea astratta. È un’esperienza incarnata. Lo dice in mille modi: non sei le nuvole, sei il cielo. Le emozioni, i pensieri, le paure sono nuvole che passano. Ma tu sei lo spazio che le contiene.
E qui c’è una consonanza con ciò che oggi anche la scienza conferma. Perché, come ricordava l’articolo che avete letto, non è vero che pensiamo solo con il cervello. È il corpo che pensa. Il cervello è un organo raffinato, ma da solo non fa nulla: è immerso in una rete di segnali, sensazioni, adattamenti. Un cervello senza corpo è solo un’immagine da film dell’orrore.
Un maestro scomodo
La vita di un uomo che ha fatto dell’esperienza la sua unica verità.
Dopo quell’esperienza, Osho non rimane a meditare in solitudine. Al contrario, diventa un conferenziere instancabile. Parla a folle immense, fonda un ashram a Pune, sperimenta con tecniche di meditazione nuove, che mescolano antichi metodi tantrici con la psicologia moderna.
E qui arriviamo a un altro punto fondamentale: il Tantra. Non pensate subito al sesso, come spesso accade in Occidente. Il Tantra, spiegava Osho, è una scienza dell’esperienza interiore. Non ti chiede “perché esiste l’universo?”, ma “come puoi viverlo?”. Ti offre tecniche concrete – 112 nel Vigyana Bhairava Tantra – per entrare nello stato di non-mente. Per esempio: osservare la pausa tra inspirazione ed espirazione. Un attimo piccolissimo, in cui non respiri. E lì, dice Osho, “non sei corpo, non sei mente: sei pura presenza”.
Non è filosofia, è pratica. Ecco perché diceva: non cercate l’illuminazione come fosse un traguardo futuro. Perché se la inseguite con la mente, resterete sempre nella mente. Piuttosto, giocate con queste tecniche, sperimentate. L’illuminazione accade quando smette di esserci un cercatore.
Cosa significa “non cercare l’illuminazione”
Ed eccoci al punto. Perché tanti ripetono la frase “non cercare l’illuminazione”?
Spesso lo fanno in modo superficiale, come se fosse un invito a non disturbarsi troppo. Ma per Osho non era un incoraggiamento alla pigrizia. Era un avvertimento: non trasformate l’illuminazione in un obiettivo mentale, perché la mente è proprio ciò che deve cadere.
C’è un aneddoto zen che Osho amava: un discepolo chiede al maestro come raggiungere l’illuminazione. Il maestro risponde: “Se corri dietro al tuo stesso riflesso nell’acqua, non lo raggiungerai mai. Fermati, e sarà l’acqua a mostrartelo”.
Il corpo, la scienza e la filosofia
Ora, per dare credibilità a tutto questo, possiamo guardarlo anche da un altro lato. La convinzione che l’intelligenza sia solo nel cervello umano è antica: Aristotele, la tradizione cristiana, Cartesio. Per secoli abbiamo pensato di essere superiori agli animali perché dotati di logos, di ragione.
Oggi sappiamo che non è così. I corvi usano strumenti, i polpi risolvono problemi, le api comunicano con danze. Ogni corpo vivente manifesta intelligenza. Non esiste una scala unica con l’uomo in cima: esistono adattamenti diversi.
E allora il messaggio di Osho appare meno esotico di quanto sembri. Non è un’utopia mistica. È un invito a riconoscere che siamo più grandi della nostra mente, perché siamo corpi viventi, parte di un universo intelligente.
La lezione di Osho oggi
Osho muore nel 1990, ma le sue parole restano. E la sua epigrafe è emblematica:
“Mai nato, mai morto, ha solo visitato questo pianeta Terra dall’11 dicembre 1931 al 19 gennaio 1990.”
Una provocazione, certo. Ma anche un modo per dire che l’illuminazione non è legata a una biografia. È uno stato in cui le maschere cadono e rimane solo il cielo.
In un mondo che ci spinge a correre, accumulare, possedere, l’invito di Osho è radicale: fermati. Respira. Osserva la pausa tra due respiri. Osserva le nuvole che passano. Non sei la tua mente. Sei molto di più.
Pensaci bene
Raccontare Osho non significa aderire acriticamente a tutto ciò che ha fatto o detto – e, come sappiamo, la sua vicenda è stata segnata anche da scandali e polemiche. Ma il nucleo del suo insegnamento resta: l’illuminazione non è un concetto da collezionare, ma un’esperienza corporea, un mutamento reale, un ritorno a casa.
E forse, se volessimo dirla con parole che lui avrebbe amato, potremmo concludere così:
la vera intelligenza non è nella mente che calcola, ma nel corpo che abita il mondo. E quando smetti di inseguire, scopri che il cielo che cercavi è sempre stato dentro di te.
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