Pensare è Ancora Possibile in un Mondo che Vive di Reazioni?
Quando smetti di giudicare e inizi a comprendere, non cambi solo prospettiva: cambi posizione nel mondo.
Viviamo in un tempo in cui la colpa è diventata una moneta di scambio quotidiana.
Colpevoli nei dibattiti politici, colpevoli nelle relazioni, colpevoli perfino nello sport.
Eppure, come ci insegna l’esperienza di chi riflette davvero sulle dinamiche umane, il problema non è mai la colpa.
Il problema è dove mettiamo l’attenzione quando qualcosa va storto.
La colpa come anestetico del pensiero
Ogni volta che un evento ci disturba — un’ingiustizia, un errore, una reazione altrui che non comprendiamo — la mente reagisce con una vecchia abitudine: individuare un colpevole.
È un riflesso di difesa.
Serve a scaricare la tensione, a restituire una sensazione di controllo.
Ma in realtà la colpa è una forma di anestesia cognitiva: ci dà l’impressione di capire, mentre in realtà smette di farci pensare.
In politica, questo meccanismo è evidente.
A volte basta una riga per rimettere a fuoco il reale.
Quando Giorgia Meloni ha scritto: «La pace a Gaza non si deve a Francesca Albanese, si deve a Trump», il professor Orsini l’ha zittita con un post semplice e chirurgico: «E ci credo. Era Trump che bombardava i palestinesi, ha deciso di smettere e il massacro si è fermato. Ti prego, Giorgia Meloni, smettila di renderti ridicola.»
È esattamente questo il punto: il pensiero autentico non urla, illumina l’assurdo con la forza dei fatti — e in una riga smonta la propaganda meglio di cento talk show.
Quando il professor Orsini elenca le scelte del governo Meloni — i voti contrari al cessate il fuoco, le forniture di armi, l’allineamento alla Casa Bianca — sta tracciando un quadro di responsabilità precise. Come approfondisce nel suo libro “Gaza Meloni. La politica estera di uno Stato satellite”, Orsini descrive un sistema in cui la sovranità italiana appare subordinata alle direttive strategiche di Washington. Ma se ci si ferma lì, la discussione resta intrappolata nel moralismo sterile: è colpevole o non è colpevole?
La vera domanda non è “chi ha sbagliato”, ma “quale sistema produce queste decisioni?”.
Quando un Paese agisce come un braccio operativo di un potere esterno, il punto non è solo il comportamento del suo leader.
Il punto è quanto spazio di volontà reale rimane all’interno del sistema.
È ciò che lo stesso Orsini mette in luce ancora una volta in “Gaza Meloni. La politica estera di uno Stato satellite”, dove spiega come l’Italia abbia progressivamente rinunciato a un ruolo indipendente nella politica internazionale.
E qui si passa dalla cronaca alla comprensione.
“La colpa è la via più breve per sentirsi innocenti, ma la più lunga per capire.”
La lezione di campo: Velasco e la cultura della soluzione
Questo spostamento — dal colpevole alla causa — è lo stesso che si ritrova nelle parole di Julio Velasco quando parla di pallavolo, ma in realtà parla della vita.
Racconta di giocatori che si lamentano: “L’alzata era sbagliata!”, “La ricezione era imprecisa!”.
E lui risponde con un paradosso perfetto:
“Non si parla di quello che fanno gli altri, si risolve.
Se l’alzata è venuta male, apri la cartella ‘palla alzata male’, non quella ‘palla alzata bene’.”
Dentro la prima c’è la soluzione, dentro la seconda c’è solo la nostalgia.
È un’immagine straordinaria: ogni situazione difficile contiene già la sua via d’uscita, ma la trovi solo se apri il file giusto dentro di te.
Se invece resti bloccato a giudicare, la partita è già persa.
Lo stesso spirito emerge anche nel suo libro “Gracias a la vida. Un’autobiografia”, dove Velasco racconta come ogni errore in campo — come nella vita — rappresenti un punto di partenza per una nuova consapevolezza, non una colpa da nascondere.
Velasco non parla di sport: parla di metodo mentale.
Sta dicendo che la lucidità è una forma di libertà, e che la libertà consiste nel non essere schiavi delle proprie reazioni.
Un episodio qualsiasi che racconta tutto
In un locale, una semplice frase può diventare una metafora di questo intero processo.
Un uomo dice a una ragazza che le due amiche si somigliano.
Un’osservazione leggera, neutra.
Ma la ragazza lo guarda con un’espressione di distanza, quasi di superiorità.
Il riflesso più comune sarebbe reagire con fastidio, oppure chiudersi, oppure sentirsi sminuiti.
E invece, la vera svolta accade quando la mente smette di chiedersi “perché lei mi guarda così?” e inizia a chiedersi “cosa sto pensando di me in questo momento?”
Lì, improvvisamente, si apre la cartella giusta.
Non quella del giudizio sull’altro, ma quella della consapevolezza di sé.
In quell’istante, il mondo esterno smette di essere un tribunale e diventa uno specchio.
Ciò che prima appariva come offesa o mancanza di rispetto si trasforma in un dato di realtà:
una reazione del corpo, un pensiero che emerge, un’informazione su chi siamo davvero quando non siamo applauditi.
La politica, lo sport, la vita: tre modi per parlare della stessa cosa
A questo punto si vede come Orsini, Velasco e l’esperienza personale raccontino lo stesso fenomeno su piani diversi.
La politica mostra l’illusione del controllo: credere che il problema sia una persona invece di un sistema.
Lo sport mostra l’intelligenza della reazione: riconoscere che ogni errore è un’occasione per migliorare.
La vita quotidiana mostra la responsabilità interiore: accorgersi che ciò che ci infastidisce negli altri spesso rivela ciò che non abbiamo ancora compreso di noi stessi.
È la stessa prospettiva che emerge dalle pagine di “Gracias a la vida. Un’autobiografia”, dove Velasco intreccia la disciplina dell’allenatore con la filosofia del vivere: imparare a reagire non con un piccolo ego, ma con la presenza.
In tutti e tre i casi, l’unico vero potere è spostare l’attenzione.
Chi cerca colpe si rinchiude nel passato.
Chi cerca soluzioni entra nel presente.
E solo nel presente si può agire.
Pensare oltre il riflesso
Trovare la cartella giusta, dunque, è un atto di lucidità.
Non significa giustificare chi sbaglia, né rinunciare al giudizio morale.
Significa riconoscere che il pensiero umano si blocca quando resta intrappolato nel “chi ha torto”, e si riattiva solo quando passa al “cosa posso fare ora”.
Questo vale per un governo, per una squadra, per una relazione.
Quando smettiamo di cercare la colpa e iniziamo a osservare i meccanismi che l’hanno prodotta, torniamo ad essere protagonisti del nostro tempo.
È allora che il pensiero torna a essere rivoluzionario: non più un esercizio di indignazione, ma un atto di costruzione.
La vera rivoluzione è la consapevolezza
Chi pensa davvero non reagisce: comprende.
E comprendere, oggi, è già un gesto di resistenza.
Perché significa non delegare più agli altri — ai politici, ai media, ai pregiudizi — la regia della propria attenzione.
Capire dove mettere lo sguardo è la forma più alta di libertà.
E come ogni libertà autentica, non si conquista gridando, ma aprendo dentro di sé la cartella giusta.
“Chi apre la cartella giusta dentro di sé, non cerca più chi ha sbagliato: trova il modo di far funzionare il mondo.”
---
✦ Nota: Questo sito contiene link affiliati, il che significa che in caso di acquisto di qualcuno dei libri segnalati riceveremo una piccola commissione (che a te non costerà nulla): un piccolo contributo per sostenere questo sito e la realizzazione di questo progetto. Grazie per il sostegno!
---
