Alessandro Orsini: analista, narratore o romanziere della geopolitica?
“La geopolitica non è fatta solo di confini e trattati, ma di narrazioni che decidono chi appare forte e chi appare debole.”
C’è chi lo accusa di essere un profeta mancato, chi lo difende come voce fuori dal coro, chi semplicemente lo ascolta perché – ammettiamolo – sa raccontare le guerre meglio di un romanziere. Alessandro Orsini è questo: un sociologo capace di trasformare la politica internazionale in uno spettacolo narrativo, dove le certezze si mescolano a ipotesi ardite, e i fatti diventano l’ossatura di racconti che oscillano tra analisi e romanzo.
Ma la domanda che dobbiamo porci è semplice e insieme spietata: quanto c’è di scienza e quanto di fantasia nelle sue parole?
I libri di Orsini: un ponte tra accademia e spettacolo
Il suo ultimo volume, Ucraina-Palestina. Il terrorismo di Stato nelle relazioni internazionali, ha un titolo che è già un manifesto. Orsini ci promette di spogliarci dei pregiudizi eurocentrici e di guardare i conflitti con occhi diversi: da una parte l’invasione russa dell’Ucraina, dall’altra il bombardamento di Gaza. Sullo sfondo, la grande categoria del “terrorismo di Stato”, applicata anche al regime israeliano.
Non è la prima volta che lo fa. Già in Ucraina. Critica della politica internazionale aveva mostrato il suo metodo: prendere le narrazioni dominanti, scomporle, e ricostruirle sotto una luce che spiazza il lettore. Non c’è dubbio che questo funzioni: i suoi libri si leggono come saggi divulgativi, ma con il ritmo serrato di chi vuole tenere il lettore sveglio, quasi inchiodato.
Ma la geopolitica può davvero diventare un romanzo?
La giustificazione delle ipotesi
Orsini insiste spesso su un punto: “in politica internazionale non contano solo i fatti, ma anche le ipotesi e le previsioni.”
È la frase che usa per difendersi dalle critiche. Se un’analisi risulta infondata, se un’ipotesi non si avvera, la replica è pronta: “non era un errore, era una possibilità”.
Ma allora la domanda sorge spontanea:
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un’ipotesi costruita senza basi solide ha lo stesso valore di una previsione scientifica?
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quanto possiamo affidarci a un analista che confonde la probabilità con la narrazione?
Certo, la politica internazionale vive di scenari. Lo facevano anche i diplomatici della Guerra Fredda, elaborando centinaia di “what if”: cosa accade se l’URSS invade la Germania Ovest? Se la NATO collassa? Ma la differenza era che quelle ipotesi si basavano su dati, spionaggio, informazioni segrete, modelli militari.
Questo non significa che Orsini non presenti dati o documenti – nei suoi libri se ne trovano molti. La questione è un’altra: il modo in cui queste basi vengono intrecciate con ipotesi e possibilità, a volte in modo narrativo, fino a sembrare più romanzo che analisi.
Cos'è la narrazione?
Con “narrazione” non intendiamo semplicemente il raccontare, ma quel meccanismo in cui un fatto e un’ipotesi vengono trasformati in una storia che colpisce più l’emozione che la ragione. È il passaggio in cui l’analisi diventa teatro: i dati reali restano sullo sfondo, ma la scena principale viene occupata dal racconto, capace di convincere non perché dimostra, ma perché affascina.
E spesso la politica internazionale non è altro che questo: una lotta di narrazioni. La forza di una tesi non si misura dai documenti che porta, ma dalla capacità di imporsi come racconto dominante. Non conta chi ha più dati, ma chi riesce a trasformarli in una storia che emoziona, consola o spaventa.
È accaduto di recente, quando ha parlato delle esercitazioni militari cinesi a Taiwan come di un “blocco totale delle acque” in risposta ai dazi di Trump. Le esercitazioni c’erano, i dazi pure, ma il legame diretto e la portata apocalittica sembravano più il frutto di un romanzo che di un report scientifico. Ed è proprio questo uso narrativo che spiega il fascino di Orsini: trasforma scenari e analisi in storie che colpiscono l’immaginazione più che la ragione.
Orsini e il fascino del racconto
Forse è proprio questo il segreto del suo successo: trasformare la noia dei report geopolitici in storie vivide, colorite, teatrali.
In Ucraina-Palestina lo vediamo bene: la critica ai complessi di superiorità dell’Occidente non è presentata come una tabella di dati, ma come un racconto morale, quasi una parabola. Allo stesso modo, quando parla di Hamas o del bombardamento di Gaza, costruisce quadri narrativi che colpiscono il lettore più con la forza dell’immagine che con la rigidità della prova.
E qui arriva la riflessione:
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abbiamo bisogno di analisti che raccontano come romanzieri?
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o di romanzieri che si travestono da analisti per farsi ascoltare?
La forza (e il limite) della provocazione
Sui social, Orsini usa lo stesso registro. Ricordiamo il suo post sul ruolo dell’Italia nell’Unione Europea sotto il governo Meloni:
“Mi viene quasi da pensare che un Paese si imponga sulla scena internazionale non con i balli in piazza e le merende all’aperto, ma con la potenza dell’esercito, l’ampiezza della popolazione e del territorio, e la grandezza dell’economia.”
È sarcasmo puro. Colpisce, fa sorridere, irrita. Ma anche qui, dietro la battuta, c’è un rischio: semplificare all’eccesso questioni complesse, riducendo la geopolitica a slogan pungenti.
In un’epoca dominata dai social, questo stile funziona: più like, più condivisioni, più dibattito. Ma resta la domanda che incombe come un macigno: non stiamo confondendo la popolarità di un post con la validità di un’analisi?
I capitoli forti di Ucraina-Palestina
Per comprendere meglio Orsini, vale la pena ripercorrere brevemente la struttura del suo ultimo libro:
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Il complesso di superiorità occidentale: qui Orsini mostra come la Russia sia stata sottovalutata dall’Occidente. Una tesi che non manca di fondamento, ma che diventa racconto epico più che analisi fredda.
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Hamas e il 7 ottobre: l’attentato è letto non solo come evento isolato, ma come simbolo di radici storiche ignorate dall’Occidente.
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Il terrorismo di Stato di Israele: la parte più provocatoria, che introduce in Italia categorie spesso relegate a studi specialistici.
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La mentalità scientifica: un invito a ragionare senza pregiudizi eurocentrici, che però stride con l’uso disinvolto delle ipotesi non dimostrate.
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Le previsioni sulla guerra in Ucraina: e qui emerge il cuore della questione. Se la previsione non si avvera, era solo “una possibilità”. Se si avvera, Orsini diventa il profeta che aveva visto giusto.
Lettori protagonisti o spettatori?
“Il vero rischio non è che qualcuno sbagli un’analisi, ma che noi, come lettori, smettiamo di distinguere tra un dato verificato e un racconto ben confezionato. È lì che ci addormentiamo, ed è lì che dobbiamo svegliarci.”
Orsini ama dire che i veri protagonisti del suo lavoro sono i lettori. Ed è vero che Ucraina-Palestina e Ucraina. Critica della politica internazionale sono scritti per coinvolgere, per spingere chi legge a interrogarsi, a non accettare passivamente le narrazioni ufficiali.
Ma la domanda che resta sospesa è un’altra: siamo davvero protagonisti, o semplicemente spettatori di un romanzo ben confezionato?
Perché, se i fatti e le ipotesi si mescolano senza un confine chiaro, il rischio è che il lettore si perda in un labirinto narrativo dove tutto può essere vero e falso allo stesso tempo.
Rifletti: tra scienza e romanzo
Alla fine, Alessandro Orsini non è solo uno studioso né solo un provocatore: è un narratore della geopolitica. Un narratore che sa catturare l’attenzione, che rompe i dogmi, che ridicolizza i complessi di superiorità occidentali, ma che a volte scivola nella tentazione di scrivere romanzi mascherati da analisi.
E allora la vera domanda, per noi lettori, diventa questa:
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vogliamo la verità nuda e cruda, o preferiamo lasciarci sedurre da un racconto affascinante, anche a rischio che la realtà venga deformata?
Forse il contributo di Orsini non sta tanto nelle sue previsioni – spesso indeterminate, a volte gonfiate – quanto nel ricordarci che la geopolitica è fatta di narrazioni, e che distinguere tra ciò che è scienza e ciò che è letteratura rimane il nostro compito più urgente.
“Il compito non è scegliere quale racconto credere, ma distinguere tra ciò che è analisi e ciò che è romanzo.”
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