È il corpo che pensa

L’intelligenza del corpo: una lezione che gli uomini non hanno ancora imparato

«Il cervello non pensa senza un corpo: è il corpo che abita il mondo e, abitandolo, manifesta intelligenza.»

Quando si parla di intelligenza, l’uomo moderno ha una risposta immediata, quasi istintiva: l’intelligenza sta nel cervello. È lì che pensiamo, ricordiamo, immaginiamo, progettiamo. È lì che, secondo noi, risiede la nostra superiorità rispetto alle altre specie.

Eppure, se ci fermiamo un attimo, questa convinzione è più figlia dell’arroganza che della realtà. Perché in realtà non è il cervello che pensa, ma il corpo intero. Il cervello è una parte del corpo, un organo tra gli altri. Certo, molto sofisticato, molto importante. Ma senza il corpo che lo sostiene, lo nutre, lo espone al mondo, il cervello non sarebbe in grado di pensare nulla.

Avete mai visto un cervello che ragiona da solo, senza un corpo attorno? No. E quando ci viene in mente questa immagine, di solito è perché l’abbiamo vista in un film dell’orrore.

L’idea di un pensiero separato dal corpo è un delirio di superiorità. È una fantasia che ha fatto comodo a molte ideologie, religiose e non solo, perché ha permesso di immaginare l’uomo come creatura distinta, quasi divina, superiore agli animali. Ma se guardiamo alla realtà naturale, l’intelligenza non è un concetto astratto: è la capacità concreta di un corpo di abitare il mondo in cui vive.

Ogni corpo è intelligente

Dal momento che noi siamo in grado di vivere nel nostro ambiente, ci definiamo intelligenti. Ma allora, per coerenza, non possiamo negare lo stesso alle altre specie.

Non esiste un corpo della natura che non eserciti la propria intelligenza, perché ogni organismo che vediamo oggi è il risultato di milioni di anni di adattamenti e trasformazioni. Se non avesse sviluppato strategie di sopravvivenza, semplicemente si sarebbe estinto.

Pensiamo a uno scarafaggio. Noi lo guardiamo con disgusto, lo associamo alla sporcizia, eppure sopravvive da più di 300 milioni di anni. È passato indenne attraverso cataclismi che hanno spazzato via i dinosauri, ha imparato a prosperare in ambienti dove nessun’altra creatura riuscirebbe. Se questa non è intelligenza, che cos’è?

E allora, dove sta davvero l’intelligenza? Sta nei corpi che sanno abitare il mondo, non in un organo isolato.

I cervelli non sono tutti uguali

Ogni organismo ha sviluppato un suo “centro di raccolta informazioni”. Negli uomini lo chiamiamo cervello, in altri animali è distribuito lungo il corpo o organizzato in modo diverso. Ma lo scopo è sempre quello: raccogliere segnali dall’ambiente, elaborarli e reagire in modo utile.

Le informazioni che servono a un essere vivente non sono le stesse che servono a un altro. Lo scarafaggio e l’uomo, per esempio, hanno bisogni e obiettivi diversi, quindi i loro cervelli sono progettati in modo diverso. Non c’è un cervello “superiore” in assoluto, ma cervelli funzionali ai bisogni della specie.

L’uomo ha concentrato nel cervello molte funzioni, ed è stato capace di sviluppare linguaggio, arte, scienza. Ma questo non significa che il suo modello sia “il migliore”. Significa che è adatto a quello che lui fa. Lo stesso vale per il pipistrello, che ha affinato sistemi di ecolocalizzazione che noi non potremmo mai eguagliare, o per il polpo, che ha neuroni distribuiti lungo i tentacoli e sa manipolare oggetti con una finezza che nessun mammifero terrestre può imitare.

Un po’ di storia: la lunga arroganza dell’uomo

Questa convinzione di essere “più intelligenti” degli altri non è nata ieri. La ritroviamo già negli antichi Greci. Aristotele, per esempio, aveva messo l’uomo in cima alla scala naturale perché dotato di logos, la parola, il pensiero razionale. Gli animali, secondo lui, avevano solo istinto.

Nel Medioevo, poi, la tradizione cristiana ci ha insegnato che l’uomo è stato creato “a immagine e somiglianza di Dio” e che gli animali sono semplicemente creature al suo servizio. Ancora una volta, il cervello e la parola diventano i segni distintivi della superiorità umana.

Nel Seicento, Cartesio arrivò addirittura a dire che gli animali erano “macchine” senza anima, senza pensiero, solo ingranaggi biologici. Una visione che oggi ci sembra brutale, ma che riflette bene quell’idea di un’intelligenza solo umana, astratta, disincarnata.

La scienza moderna, però, ha cominciato a demolire questi pregiudizi. Oggi sappiamo che i corvi costruiscono strumenti, i delfini riconoscono la propria immagine nello specchio, le api comunicano con danze complesse, i polpi risolvono problemi e persino giocano. Non è più possibile sostenere che l’intelligenza sia solo nel cervello umano.

Due modi diversi di pensare

C’è, infine, un punto decisivo: il modo in cui usiamo il cervello.

  • L’uomo lo ha usato soprattutto per possedere: dominare, accumulare, controllare.

  • Le altre specie, invece, hanno costruito cervelli per abitare il mondo e viverlo nel presente.

Questa differenza è fondamentale. Noi ci sentiamo intelligenti perché costruiamo grattacieli, perché mandiamo sonde su Marte, perché possediamo banche dati immense.

Ma un’ape che orienta l’alveare in base al sole, o un pesce che migra per migliaia di chilometri seguendo i campi magnetici, dimostrano una forma di intelligenza altrettanto straordinaria, anche se diversa.

La verità è che ogni specie ha la sua intelligenza, modellata dai propri bisogni e dal proprio ambiente. L’arroganza dell’uomo sta nel voler trasformare questa diversità in una classifica, con lui sempre in cima.

Rifletti: è il corpo che pensa

E allora torniamo al punto di partenza. Non è il cervello che pensa: è il corpo intero. Il cervello è solo un nodo di questa rete. Il corpo manifesta intelligenza in ogni gesto, in ogni adattamento, in ogni modo con cui si rapporta al mondo.

Gli uomini hanno avuto bisogno di convincersi che la loro intelligenza fosse diversa, superiore, e hanno inventato il mito del pensiero separato dal corpo. Ma questo mito non regge.

La realtà ci dice che l’intelligenza è ovunque ci sia vita, e che ogni corpo vivente è una forma di intelligenza incarnata.

Forse il vero salto evolutivo, per noi, non sarà inventare nuovi algoritmi o nuove macchine, ma imparare a riconoscere e rispettare l’intelligenza che ci circonda.

«La vera evoluzione non è costruire macchine più intelligenti, ma riconoscere l’intelligenza che già respira intorno a noi.»

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