I Don Chisciotte di Paperino e il Racconto Sugli “infedeli” Americani
“Al bar di Paperino i Don Chisciotte non mancano: tra una sigaretta e un bicchiere di vino, gli italiani giurano di scacciare gli ‘infedeli’ americani dall’Italia. Non sanno che, più che combattere un nemico reale, alimentano una storia che li consola.”
A Paperino, piccolo borgo toscano, il bar sport è più di un ritrovo: è un palcoscenico. Ogni giorno, tra un caffè corretto e una partita a carte, i presenti improvvisano discussioni che somigliano a vere e proprie battaglie dialettiche. Qui non mancano mai i Don Chisciotte di turno: uomini convinti che l’Italia debba liberarsi dagli “infedeli americani” che — a loro dire — succhiano soldi, armi e sovranità.
Ascoltarli è come aprire un romanzo a metà tra storia e fantasia. Il dato di partenza è reale: le basi NATO esistono, i bilanci della difesa hanno numeri precisi, le missioni internazionali pesano sulle casse italiane. Ma ecco che il dato si piega, diventa ipotesi, e l’ipotesi si accende di narrazione: “Gli americani ci invadono, ci sfruttano, ci colonizzano.”
E io, seduto lì, li osservo come osservavo i miei studenti quando parlavo di Don Chisciotte: non è che i mulini non ci siano, è che vengono trasformati in mostri epici.
I fatti che sappiamo — il dato
Cominciamo dal terreno più solido: i fatti. Esistono e sono importanti perché orientano il discorso quotidiano.
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Sì: in Italia ci sono basi militari statunitensi e installazioni NATO.
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Sì: l’Italia spende cifre significative per la difesa e acquista tecnologie spesso prodotte o dominate dal mercato nord-americano.
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Sì: l’appartenenza alla Nato implica condizioni, interoperabilità, esercitazioni, impegni internazionali.
Questi sono i dati. Non bisogna ignorarli né banalizzarli. Sono il materiale grezzo con cui chiunque costruisce ragionamenti. Ma il dato, in sé, non ordina giudizi morali: è neutro finché non passa attraverso l’interpretazione.
E qui entra in gioco la lezione di Nuccio Ordine. Nel suo libro L’utilità dell’inutile, ricorda che non è vero che è utile solo ciò che produce profitto o vantaggi immediati. Anche i saperi apparentemente “inutili” nutrono lo spirito e rafforzano la democrazia. Allo stesso modo, ridurre i dati a “quanto ci sfruttano” senza coglierne il contesto più ampio significa impoverire la nostra capacità civica di comprenderli davvero.
L’ipotesi che nasce al tavolo — il ponte
Dal dato nasce l’ipotesi: è il ragionamento che chiamiamo plausibile e che permette di immaginare conseguenze. Al bar si ascolta così:
“Se lasciamo basi e dipendenze, allora paghiamo la difesa altrui; perdiamo autonomia politica; ci mandano a fare le guerre che non sono le nostre.”
È un’ipotesi seria e non va gettata via. Ha senso. Può e deve essere indagata: quantificare quanto costano certe spese, verificare quali accordi limitano la nostra libertà d’azione, capire quali interessi economici beneficiano delle scelte belliche. L’ipotesi è il ponte tra il fatto e la decisione politica: è qui che si costruisce la politica possibile.
La narrazione che si impone — quando il ponte diventa teatro
Ma la scena che vedo al bar spesso non si limita all’ipotesi: si trasforma in racconto. È in questo passaggio che la conversazione civile rischia di deragliare.
La narrazione al bar dice: “Gli americani ci sfruttano, scroccano le nostre risorse; sono i nemici; dobbiamo cacciare via gli infedeli e riprenderci la patria.”
La formula è semplice, efficace, commovente. Ha un eroe e un colpevole; offre una vendetta morale; è comprensibile anche per chi non sa leggere un bilancio.
Ecco il problema: la narrazione non ragiona, risolve emotivamente. Essa tende a sostituire l’analisi. Chi ascolta finisce per credere che con una volontà di massa si possano “buttare fuori” le basi e ricostruire la sovranità come se si cambiasse una scenografia. Ma la politica è fatta di trattati, investimenti, catene industriali e interessi internazionali: non si smantella con la buona fede.
Qui vale un’altra lezione di Ordine. In Gli uomini non sono isole, citando John Donne, scrive: “Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso; ciascuno è un pezzo del continente, una parte dell’oceano.” Pensare che basti espellere “l’infedele” per ritrovare identità significa dimenticare che la nostra stessa forza dipende dalle relazioni.
Don Chisciotte e il vento: quando la narrazione diventa lotta personale
Il cuore del meccanismo è proprio questo: la narrazione è la parte centrale anche del Don Chisciotte.
Il cavaliere non combatte il vento, combatte la sua versione del vento.
Così anche gli italiani del bar di Paperino:
– vedono i mulini che girano davvero — le basi americane, le pressioni sulla politica e sull’informazione —
– ma li trasformano in nemici personali, in battaglie epiche dove l’eroe è sempre e solo “noi contro loro”.
È un racconto che funziona sul piano emotivo e mediatico, ma che rischia di trasformare l’analisi in romanzo cavalleresco. Non descrive più un meccanismo sistemico (che esiste), ma lo incolla al proprio ruolo personale da “eroe perseguitato”: lui contro i mulini, quelli del bar sport contro la Casa Bianca e i giornalisti “corrotti”.
E il rischio diventa evidente: i dati sono reali, ma vengono trasformati in trama epica. Gli USA diventano “i parassiti”, l’italiano diventa “il cavaliere” che denuncia, e finiamo a credere che il destino del Paese si decida a Paperino, mentre in realtà viene scritto altrove — nei palazzi del potere, nei vertici economici, nelle stanze militari.
È qui che la narrazione prende il sopravvento: la realtà si confonde con la fiaba, la rabbia diventa più forte della verifica, il mito più potente del documento.
Perché gli italiani raccontano così, ogni giorno
Perché questa narrazione è così radicata tra gli italiani che si incontrano al bar? Per tre ragioni semplici:
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Emotiva – la storia dà identità e colpa, e l’identità conforta. In un Paese con difficoltà economiche, attribuire colpa all’esterno è consolatorio.
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Semplificatrice – semplifica problemi complessi che richiederebbero competenze e pazienza analitica. Meglio un racconto corto che un dossier di cento pagine.
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Politica – quella narrazione funziona elettoralmente; porta consenso. È più facile radunare cuori intorno a una metafora che spiegare scambi asimmetrici e rinegoziazioni lunghe.
Così, quotidianamente, gli italiani si parlano addosso: si convincono l’un l’altro che il nemico è esterno e che l’azione giusta è espellere l’“infedele”. Si creano rituali narrativi che rafforzano la percezione di un’ingiustizia subita.
Cosa fare — proposte per chi vuole trasformare la passione in politica
Se il desiderio è aumentare la nostra autonomia senza cadere nel romanzesco, servono strumenti concreti, non slogan. Alcune linee pratiche:
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Trasparenza parlamentare sulle missioni: ogni missione e ogni accordo deve avere una discussione pubblica con dati di impatto economico e strategico.
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Rinegoziazione graduale: non si tolgono basi con un decreto; si costruiscono piani condivisi per riconvertire funzioni, aumentare la gestione nazionale e definire compiti civili e militari insieme agli alleati.
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Investimento europeo nella difesa comune: ridurre dipendenze significa costruire capacità condivise nell’UE, non isolarsi.
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Sviluppo industriale nazionale: rafforzare catene di fornitura italiane ed europee per ridurre la contingenza di approvvigionamento esterno.
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Educazione civica e informazione di qualità: insegnare a distinguere tra dato, ipotesi e narrazione è il primo presidio contro il mito consolatorio.
Queste cose si decidono con tempo, competenza e negoziazione: non si urlano al bar.
Come ricorda Claudio Simeoni ne Il Crogiolo dello Stregone, il vero rischio è che le società, quando non sanno affrontare i propri fallimenti sociali ed economici, si rifugino in narrazioni belliche. Ieri erano i “comunisti”, oggi sono i “nemici esterni” di turno: americani, russi, sovranisti. Cambiano i nomi, ma il meccanismo è lo stesso: costruire un racconto che consola e mobilita, invece di ammettere di essere irresponsabili e incapaci.
Ed è qui che lo scetticismo diventa vitale: smontare le fiabe di potere significa evitare che gli italiani diventino comparse di una guerra narrata prima nei bar e poi nei palazzi.
Ordine lo direbbe così in L’utilità dell’inutile: abbiamo bisogno dell’inutile come delle funzioni vitali. Non solo missili o bilanci, ma cultura, letteratura, educazione civica. Senza questi strumenti, la democrazia resta zoppa.
Riflessione — parlare italiano significa anche ascoltare i fatti
Ascoltare gli italiani che al bar ripetono la favola degli “infedeli” non è condannarli; è capirli. La loro rabbia e la loro paura sono segnali reali. Ma la democrazia chiede qualcosa di più: trasformare l’emozione in argomentazione, il sospetto in verifica, la protesta in progetto.
Perciò, se davvero vogliamo cambiare le cose, dobbiamo fare questo: mettere i fatti sul tavolo, costruire ipotesi testabili e resistere alla tentazione della narrazione che consola ma non costruisce. Solo così gli italiani che raccontano ogni giorno la storia al bar potranno dirigere la loro passione verso scelte che migliorano la sovranità reale del Paese — e non soltanto il conforto di una bella fiaba.
“Al bar puoi vincere ogni discussione con un racconto ben fatto; ma nella realtà, senza dati e ipotesi verificabili, resti solo a combattere mulini a vento.”
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