Quando il furto indossa la cravatta

Gratteri e la nuova mafia: multinazionale con sede in confessionale

  • Quando il crimine non ha più bisogno di minacciare, ma di funzionare meglio dello Stato

Il problema con la mafia moderna è che non la riconosci più. Non ha il volto butterato di chi ha dormito in una stalla con la lupara sotto il cuscino, ma quello sorridente del consulente aziendale, dell’investitore etico, del filantropo.
La nuova mafia non minaccia, firma protocolli. Non rapina, acquisisce. Non corrompe, collabora.

Nel libro “Fuori dai confini”, Nicola Gratteri e Antonio Nicaso offrono una radiografia spietata ma lucida: la mafia di oggi è più silenziosa, più educata, più internazionale di qualunque apparato statale. Ed è proprio questa cortesia la sua arma più subdola. Perché nel momento in cui si fa gentile, è già troppo tardi. Ti ha già comprato, e non te ne sei accorto.

Il crimine organizzato del XXI secolo ha preso lezioni di marketing.
Ha capito che la pistola fa paura, ma il capitale attrae.
E ha scelto la seconda via.

Mentre noi ci balocchiamo con talk show sui valori e memi su TikTok, loro comprano hotel, supermercati, catene logistiche, e perfino voti politici.

Gratteri ci avverte: “Non servono più i killer. Bastano gli intermediari.”
Gli stessi che si muovono tra Panama e Pavia, tra Dubai e Duisburg, tra la ‘nduja e il Nasdaq. Altro che coppola e lupare.
La mafia oggi è una holding multinazionale, e noi continuiamo a combatterla come se fosse una bocciofila deviata.

Ogni emergenza è un’occasione. Ogni ingenuità, una miniera.

Nel 2020, mentre il mondo contava morti e tamponi, la ‘ndrangheta offriva prestiti solidali, affittava camion per la distribuzione vaccinale, e si presentava come partner affidabile per chi era con l’acqua alla gola.

Nel 2022, con la guerra in Ucraina, nuovo giro, nuova corsa: traffico d’armi, speculazioni immobiliari, riciclaggio tramite criptovalute.
La mafia non dorme mai, perché sa che là dove c’è emergenza, c’è opportunità.
Ed è perfettamente attrezzata per agire prima dello Stato, che prima di arrivare deve stampare i moduli.

E poi c’è l’altra mafia. Quella che ti frega con un link.

Gratteri, in alcune sue recenti dichiarazioni, ha lasciato intendere che finalmente qualcosa si muove anche sul fronte delle truffe online. E ce n’è bisogno. Perché oggi la mafia digitale non ha bisogno né di armi né di “territorio”: le basta una campagna email, un finto sito di trading, un profilo Instagram ben curato.

Le cifre che girano sono enormi, e il danno è doppio: economico e culturale.
Perché mentre rubano soldi, rubano anche fiducia.
Fiducia nel web, nelle relazioni, nella parola “opportunità”.

Internet, che avrebbe potuto essere un luogo di libertà e consapevolezza, è diventato la fiera dell’illusione, popolata da venditori da strapazzo in perfetto stile stile Profeta del Nulla con PayPal integrato.
Eppure la legge resta indietro.
Come se rubare online valesse meno che rubare in banca.

È ora che lo Stato si svegli.
Perché chi truffa online non vende solo prodotti: vende sogni finti a chi ha fame vera.
E anche questo è crimine organizzato. Solo più pulito, più trendy, più “motivazionale”.

Il vero problema? È che il crimine non ha bisogno di forzare il sistema.

Gli basta aspettare che il sistema gli venga incontro.

A volte vestito da funzionario zelante, a volte da imprenditore disperato, più spesso da cittadino ignaro.
La mafia è diventata una realtà capillare, fluida, un’infrastruttura parallela che funziona meglio di quella ufficiale.

Il libro di Gratteri è un urlo mascherato da saggio. Perché mette in fila, con la calma di chi ha già visto tutto, i meccanismi perversi che fanno della mafia un fenomeno non folkloristico, ma sistemico.

E allora… chi sono i veri complici?

Non più solo i politici collusi, ma anche i manager in carriera, i giornalisti distratti, i cittadini che preferiscono non vedere.
Perché è più comodo pensare che la mafia sia altrove. In Calabria, magari. Nei film.

Invece è ovunque. E non si nasconde. Si mimetizza.
Fa networking. Fa fundraising. Fa impresa.
Ha una reputazione da difendere, una brand identity, e se possibile anche una pagina LinkedIn.

E noi? Noi ci indigniamo.
Condividiamo l’articolo giusto.
Ma non cambiamo le password.

Gratteri non chiede miracoli.

Chiede lucidità.
Chiede di smettere di pensare alla mafia come qualcosa di pittoresco o marginale,
e iniziare a vederla per quello che è: una strategia d’investimento alternativa
che prospera dove le regole si arrugginiscono.

Il confessionale, la mafia più antica

E qui, una riflessione scomoda ma inevitabile:
e se anche il monoteismo fosse una forma di mafia?

Apparentemente sacro, perfettamente organizzato, ricco di simboli e di riti,
eppure profondamente interessato al controllo delle masse e alla gestione di capitali.

Non è forse un caso che il 90% della finanza mondiale passi ancora, direttamente o indirettamente, dalle mani della Chiesa cattolica o delle sue ramificazioni?
Non è forse una struttura parallela che, come la mafia, si alimenta di consenso, paura e fedeltà?

E se il vero potere non fosse nei governi, ma nei confessionali?
Dove il perdono è gratuito, certo.
Ma la proprietà resta ben custodita, come una reliquia contabile tra le dita benedette del potere.

Il crimine si combatte togliendogli il fascino

E la mafia moderna, senza l’aura dell’efficienza, della rapidità, del successo apparente,
diventa ciò che è davvero: un parassita elegante.

La vera domanda non è: “chi è la mafia?”

Ma: sei sicuro che non sia anche in te, quando accetti senza capire?
Quando clicchi accetto senza leggere? Quando ti convincono a comprare qualcosa che non esiste?

La mafia non è più fuori da noi.
È diventata la forma più sofisticata della normalità accettata.

E allora, se dobbiamo prenderlo nel sistema, facciamolo con anticorpi.

Trasparenza. Ridicolo. Noia.
Tre armi più potenti della retorica e delle manette.

Perché la mafia teme chi la vede davvero.
Chi la svuota del suo mito.
Chi non la applaude, nemmeno quando si traveste da opportunità.

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