Se Mi Porti, Vengo!
Perché Ti Circondi di Gente che Viene Solo se la Porti? Riflessioni per Riconoscere i Parassiti Emotivi (e Lasciarli in Stazione Senza Baci né Biglietto)
Hai presente quella scena?
Tu con la voglia, le scarpe già allacciate, lo sguardo pieno di idee e un messaggio appena inviato: “Andiamo?”.
E dall’altra parte arriva la risposta sgonfia, molliccia, l’equivalente emotivo di un toast bagnato:
“Boh… Se mi porti tu, forse vengo.”
E lì dovresti già capire tutto.
Ma no, tu insisti. Perché sei ancora educato. Perché dentro credi che basti un po’ di calore per sciogliere un cuore ghiacciato.
Sbagli.
Chi è il “vengo solo se mi porti”?
È colui che non vuole esserci.
Non perché non possa. Ma perché ha deciso che se non è il mondo a inginocchiarsi, allora non vale la pena alzarsi.
È il pigrissimo Narciso passivo:
non si specchia nello stagno, ma pretende che tu glielo riempia, glielo scaldi e magari lo accompagni pure all’acqua.
Il Delegatore Affettivo: una creatura da evitare
Non si presenta mai come antagonista. Si presenta come “indeciso”, “stanco”, “timido”, “in burnout”…
È la classica persona che, se la inviti a un concerto, risponde con un mugolio da badante di se stesso:
“Mmm… fammi sapere chi c’è…”
Chi c’è? CI SEI TU, TESTA SECCA!
La Trappola del Motore Umile
Tu organizzi. Tu proponi. Tu prenoti. Tu insisti.
Tu guidi. Tu motivi. Tu scrivi “ma dai, facciamo qualcosa”.
Ma in realtà… sei diventato il motore di una macchina che non va da nessuna parte.
E ti porti dietro un passeggero emotivo con le cinture slacciate e lo sguardo da zombie.
Quello che si lamenta anche dell’aria condizionata, del volume della musica, del parcheggio troppo lontano.
Perché lui, in fondo, non voleva esserci. Voleva solo che tu lo volessi così tanto da non fargli dire di no.
Segni clinici del "Relazionato Passivo"
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Gli chiedi: “Ti va?”
Risponde: “Boh… vediamo”.
(Che è il nuovo “no, ma non voglio prendermi la responsabilità di dirtelo.”) -
Gli chiedi: “Ma perché non vieni?”
Risponde: “Se ci tieni tanto…” -
Gli chiedi: “Posso contare su di te?”
E lui ti risponde con un forward di un meme.
Non è timidezza. È assenza. È non-scelta travestita da scusa. È vigliaccheria che sa di lavanda e di lozione dopobarba.
E tu, che fai?
Continui a portarlo. Perché dentro sei una crocerossina da trincea, un autista emozionale sempre pronto a salvare anime senza patente.
Ma lo sai cos’è che stai portando davvero?
Un corpo senz’anima.
Un’ombra che ti succhia energia, iniziativa, entusiasmo.
È come fare sesso con qualcuno che ti lascia fare tutto mentre finge di starci.
Una performance a senso unico.
Una maratona con uno zaino pieno di scuse che non sono nemmeno le tue.
Il punto non è uscire con chi ti ama. È uscire con chi vuole esserci.
Chi si fa pregare non va portato. Va lasciato lì, dov’è.
A metà strada tra il suo divano e il suo disinteresse.
Perché l’amore (come l’amicizia, come la partecipazione) si misura in un gesto:
alzarsi e venire. Con le proprie gambe. Col proprio desiderio. Col proprio sì.
Riflessione Congruente (per chi ancora fa finta di non capire):
Chi viene solo se lo porti, non verrà mai davvero.
È un passante della tua vita che vuole salire sul tuo treno solo se non paga il biglietto, solo se tu guidi, solo se tu decidi, solo se TU vali abbastanza anche per lui.
Ma tu non sei Uber (Azienda di Trasporto).
Non sei la badante emotiva di nessuno.
E se qualcuno non ha voglia, che resti pure a casa a masturbarsi con la sua pigrizia.
Post Scriptum per chi ancora cerca scuse altrui nel proprio zaino:
A chi mi dice:
“Eh ma dai, magari ha solo bisogno di una spinta…”
Rispondo con amorevole ironia:
Io non sono né una carrozzina né la batteria di riserva del tuo entusiasmo.
E se davvero cerchi qualcuno che ti porti ovunque tu non abbia voglia di andare,
vai su Blablacar, prenota uno psicologo, o mettiti su Amazon con la scritta “spediscimi dove cazzo vuoi, basta che non decida io.”
Ma da me, non aspettarti né miracoli, né navette gratuite per la tua apatia.
Il mio veicolo parte solo con passeggeri vivi a bordo.
E tu, amico mio, hai la batteria emotiva di un telecomando scarico in fondo al divano.
