Quando il Mare Diventa una Pozzanghera
Ritrovare la Vibrazione Interiore che Dà Significato al Mondo
Ci sono momenti in cui osservi una persona in un locale, al mare o in mezzo a una festa, e percepisci subito qualcosa di spento.
Lo sguardo vaga, ma non vede.
Il corpo c’è, ma non partecipa.
E anche se intorno c’è musica, luce, movimento, quella persona sembra dire dentro di sé:
“Non c’è niente di interessante qui.”
È la stessa sensazione che prova chi resta chiuso in casa e pensa:
“Non c’è niente da fare o non ho niente da fare”
Come se fosse sempre necessario uno stimolo esterno per accendere la vita.
Ma la verità è che quando il mondo ci appare vuoto, non è il mondo a essere cambiato — siamo noi a esserci scollegati dalla sua vibrazione.
Il generatore spento
Dentro ciascuno di noi esiste un generatore invisibile: una sorgente di interesse, curiosità e stupore.
È ciò che trasforma una scena qualunque in una scoperta.
Quando questo generatore è acceso, tutto sembra vivo: il colore di una bottiglia, il suono delle voci, persino il respiro di chi ti passa accanto.
Quando invece si spegne, anche il mare al tramonto sembra una pozzanghera.
Non perché il mare abbia perso la sua immensità, ma perché l’occhio che guarda ha smesso di vibrare.
È come un diapason che non risuona più con le frequenze del mondo.
La vita continua a suonare, ma tu non la senti.
Il prigioniero in libera uscita
C’è chi vive così: come un detenuto che, pur potendo uscire per un’ora d’aria, porta con sé la prigione nella mente.
Cammina nel cortile, respira l’aria aperta, ma resta imprigionato nei pensieri.
E allora dice: “Fuori non c’è niente.”
In realtà, fuori c’è tutto.
Ma finché dentro non c’è spazio, niente potrà entrarci davvero.
È come avere una finestra chiusa e lamentarsi che non entra la luce.
Questo atteggiamento è più comune di quanto sembri.
Lo vediamo nei locali, nelle spiagge, persino nelle conversazioni: persone circondate da stimoli, ma svuotate di senso.
Non si divertono perché non sono presenti.
E non sono presenti perché vivono la realtà come spettatori, non come partecipanti.
Chi è l’inconscio e perché parlargli come a un amico
Molte persone sentono parlare di inconscio come di qualcosa di vago o misterioso, ma in realtà l’inconscio è una parte reale e concreta di noi stessi. È ciò che respira anche quando dormiamo, che reagisce con un brivido prima ancora che la mente capisca il perché.
È la nostra intelligenza corporea, la memoria viva di tutto ciò che abbiamo sentito, amato, temuto e imparato.
Dire “Caro inconscio…” non è un atto esoterico, ma un gesto di rispetto verso quella dimensione silenziosa che sa prima che noi “pensiamo”. È un modo per sospendere il rumore mentale e rivolgere l’ascolto verso dentro, dove spesso si nasconde la risposta più semplice e più vera.
È come dire:
“Caro me profondo, so che percepisci ciò che la mente ignora.
Ti sto ascoltando.”
Parlare all’inconscio è un modo per tornare a essere presenti nel corpo, per far dialogare la parte razionale con quella istintiva. Chi lo fa, non si sta parlando “da solo”: sta ricucendo la distanza tra ciò che pensa e ciò che sente. E questo, nella vita quotidiana, cambia tutto.
Il punto di svolta: imparare a parlarsi davvero
Quando dentro di noi si crea il vuoto, la mente tende a riempirlo cercando qualcosa “fuori”.
Eppure, la risposta più autentica non arriva dall’esterno, ma da una parte più silenziosa e vera di noi.
Per questo, in molte pratiche interiori, si invita a rivolgersi a se stessi proprio così:
Caro inconscio, cosa sto cercando davvero quando dico “non c’è niente”?
Sto chiedendo un nuovo stimolo o sto chiedendo di risentirmi vivo?
Porre una domanda in questo modo non serve a ottenere una risposta verbale, ma a risvegliare la sensibilità. È come bussare a una porta dentro di sé e accorgersi che la stanza era sempre stata piena — solo che non la si stava più guardando.
Da quel momento, la vita riprende a pulsare.
Riconoscere il corto circuito
Quando dentro di noi si crea il vuoto, il mondo perde colore.
Ci sembra che le persone siano noiose, i luoghi sempre uguali, le esperienze prevedibili.
In realtà, ciò che percepiamo non è una fotografia del mondo, ma una proiezione del nostro stato energetico.
La mente proietta sul reale la propria assenza di vita.
È come guardare un film con il proiettore scarico: l’immagine è sbiadita, ma non perché il film sia brutto.
Eppure, invece di cambiare la lampada del proiettore, cambiamo sala, cambiamo film, cambiamo pubblico.
Fino a quando ci accorgiamo che il problema non era mai fuori.
Il corto circuito nasce proprio qui: quando smetti di generare significato e inizi a giudicare la realtà come “non abbastanza.”
La vibrazione come chiave di libertà
Ritrovare la vibrazione interiore significa tornare a vedere il mondo con occhi che partecipano.
Non come spettatori, ma come co-creatori.
È la differenza tra “guardare” e “vedere”, tra “sentire” e “ascoltare”.
Quando sei davvero presente, anche una goccia d’acqua riflette l’infinito.
Quando non lo sei, anche l’oceano sembra muto.
In quel momento puoi scegliere:
rimanere nel ruolo di prigioniero in libera uscita o aprire la cella dentro di te.
Non per scappare, ma per respirare la vita così com’è — piena, mutevole, reale.
Il mare che si ricrea
Ciò che chiamiamo “mare” non è solo un luogo fisico: è una condizione dell’essere.
È quella sensazione di ampiezza interiore che ti fa dire: “Sono vivo, e il mondo risponde.”
Quando torni a vibrare, anche la realtà risponde con una sincronia diversa: incontri nuovi, pensieri freschi, desideri che si risvegliano.
E allora capisci che il divertimento non è un evento, ma un atto di partecipazione.
Che la gioia non arriva, ma si genera.
E che il mare, in fondo, non è mai diventato una pozzanghera: eri tu che avevi smesso di guardarlo con occhi vasti.
Da spettatori a creatori
La vita non ti chiede di essere in un posto straordinario per sentirti vivo.
Ti chiede di esserci — completamente.
Quando la presenza si accende, ogni dettaglio diventa esperienza.
Anche il silenzio diventa musica, anche la solitudine diventa compagnia.
E forse è proprio questo il segreto di chi sa vivere:
non aspettare che arrivi qualcosa di interessante,
ma diventare interessante per ciò che lo circonda.
In fondo, il mare non ha bisogno di cambiare. Sei tu che devi ricordarti di nuotarci dentro.
Controbattere – Oltre il Pensare
"Vedere ciò che di solito resta invisibile, e restituire alla realtà la profondità che merita. Non è il mondo a essere piccolo, ma la tua presenza a renderlo grande."
---
Nota: Questo sito contiene link affiliati, il che significa che in caso di acquisto di qualcuno dei libri segnalati riceveremo una piccola commissione (che a te non costerà nulla): un piccolo contributo per sostenere questo sito e la realizzazione di questo progetto.
Grazie per il sostegno!
---
