Che Delusione Sono Veramente Gli Americani
Mentre parlano di libertà e diritti, la CIA torna a muoversi in America Latina come negli anni delle dittature. Una recita che si ripete.
La libertà secondo Washington
E se la libertà che ci vendono fosse la gabbia più elegante che abbiano mai costruito?
Gli Stati Uniti amano parlare di libertà.
È il loro marchio, il loro biglietto da visita, la parola più abusata del loro vocabolario politico.
Ma dietro quella parola — Freedom — si nasconde da sempre una realtà meno poetica: il dominio.
Nel 2025, a distanza di mezzo secolo dalle operazioni segrete che devastarono l’America Latina, la storia si ripete con la stessa puntualità con cui gli imperi si autoassolvono.
Il presidente Trump, tornato a guidare gli Stati Uniti, ha riportato la CIA in prima linea nei Caraibi, come se il tempo non fosse mai passato.
- Settembre 2025: gli Stati Uniti attaccano e affondano imbarcazioni venezuelane nel mar dei Caraibi, dichiarando che si tratta di un’operazione “contro il narcotraffico”.
- 15 ottobre 2025: lo stesso Trump conferma pubblicamente di aver autorizzato operazioni segrete in Venezuela, un’azione che riporta il continente a ricordare i tempi del Cile di Pinochet e delle ombre dell’“Operazione Condor”.
Eppure, a differenza del passato, oggi il linguaggio è più raffinato.
Non si parla più di “colpi di Stato” o di “interventi militari”, ma di “missioni di stabilizzazione” e “azioni preventive”.
L’essenza resta la stessa: decidere chi ha diritto di esistere e chi deve scomparire.
Il teatro del potere travestito da democrazia
Ogni volta che l’America dichiara una guerra “per la pace”, il mondo dovrebbe trattenere il fiato.
Perché dietro ogni parola rassicurante, dietro ogni conferenza stampa che parla di “valori democratici”, c’è sempre una mappa tracciata dalla CIA e una catena di interessi economici che non conoscono pietà.
Negli anni ’70 la scusa era il “pericolo comunista”.
Oggi è la “lotta al narcotraffico”.
Ma il meccanismo è identico: identificare un nemico, demonizzarlo, intervenire per “salvare” il popolo da sé stesso — e nel frattempo garantirsi il controllo del petrolio, delle rotte e delle risorse.
La verità è che gli Stati Uniti non esportano democrazia: esportano obbedienza.
E quando non riescono a ottenerla con la persuasione, la impongono con la forza.
Una forza che cambia volto, linguaggio, narrazione, ma mai natura.
“Forse la vera guerra non è contro i dittatori, ma contro chi non compra le loro bugie?”
La doppia faccia di Trump
Trump non è un’eccezione.
È la logica incarnata del sistema americano, portata all’estremo del suo narcisismo.
Sventola la Bibbia davanti ai fotografi come se fosse un lasciapassare divino,
mentre firma ordini che autorizzano la violenza “giusta” contro i malvagi.
Dice di voler evitare la guerra a Gaza, ma nello stesso tempo apre nuovi fronti in America Latina.
Una mano predica la pace, l’altra stringe il coltello.
È questa la sua idea di equilibrio: fermare la guerra dove non gli conviene, e iniziarne una dove può controllare il caos.
È un copione vecchio quanto l’impero stesso.
La differenza è che oggi tutto avviene davanti a milioni di occhi.
Eppure, la consapevolezza collettiva è anestetizzata da una narrativa hollywoodiana dove l’America appare sempre come l’eroe della libertà, anche quando è il carnefice.
Le stesse dinamiche, i nuovi pretesti
Non serve scavare troppo per riconoscere le stesse strutture del passato.
- Nel 1973, la CIA orchestrava la caduta di Salvador Allende in Cile, aprendo le porte alla dittatura di Pinochet.
- Nel 1980, in Nicaragua, finanziava i Contras per destabilizzare un governo legittimo.
- Nel 1989, a Panama, “ripristinava l’ordine” invadendo il paese con 27.000 soldati.
Oggi, nel 2025, il lessico è cambiato, ma la sostanza no.
Si parla di “intelligence preventiva”, di “operazioni coperte per la sicurezza”,
e di nuovo si colpisce chi non si allinea all’asse di potere globale.
L’America Latina, un tempo laboratorio di dittature sponsorizzate,
è tornata a essere il laboratorio del controllo geopolitico.
Solo che ora la copertura è digitale, diplomatica, e moralmente confezionata.
La repressione si fa più elegante, ma non meno spietata.
La religione del dominio
Nel gesto di Trump che sventola la Bibbia davanti ai manifestanti,
c’è tutto il simbolismo del potere monoteista: la convinzione che esista un solo bene, un solo Dio, una sola verità, una sola nazione eletta.
È la radice ideologica che trasforma ogni dissenso in colpa e ogni guerra in crociata.
Chi si oppone non è un avversario, ma un “malvagio” da redimere o eliminare.
Ecco perché ogni volta che gli Stati Uniti parlano di “valori”,
quel termine va tradotto con la parola “interessi”.
Il potere monoteista non cerca la giustizia, cerca conferme.
È lo stesso linguaggio usato dalle religioni che giustificavano il genocidio “per salvare le anime”.
Solo che oggi le anime si chiamano “popolazioni strategiche” e il paradiso si chiama “mercato globale”.
Che differenza c’è tra un crocifisso sventolato e un drone decollato?
La recita infinita
Mentre a Washington si discute di libertà, a Caracas si discute di sopravvivenza.
E mentre il presidente americano parla di pace, droni e operazioni segrete ridisegnano le rotte del potere.
La vera ironia è che gli Stati Uniti non riescono più nemmeno a fingere bene.
La recita è svelata, ma il pubblico continua ad applaudire per abitudine.
È l’abitudine alla menzogna — quella più pericolosa, perché travestita da verità condivisa.
La libertà americana non è un valore: è un marchio registrato.
Un prodotto di esportazione che serve a coprire il rumore delle armi.
Dietro lo spot del “mondo libero”, c’è una catena di comando che decide chi può parlare e chi deve sparire.
E se il potere americano non avesse più nemici reali, ma solo sceneggiature da mantenere?
Oltre l’ipocrisia
Che delusione sono veramente gli americani.
Non perché tradiscano i propri ideali, ma perché li usano come copertura per i propri interessi.
Perché parlano di diritti mentre scelgono chi merita di averne.
Perché si presentano come guida morale del pianeta, ma agiscono come chi non riconosce più nessun limite.
Eppure, ciò che oggi appare come potenza assoluta è già la sua fine.
Ogni impero che si fonda sulla menzogna della “missione civilizzatrice”
finisce per essere schiacciato dal peso della propria ipocrisia.
Forse è solo questione di tempo.
Ma intanto, la storia ripete il suo paradosso:
chi si proclama liberatore finisce sempre per diventare il suo stesso oppressore.
Rifletti
Alla fine, ciò che resta davvero da fare non è scegliere da che parte stare, ma imparare a vedere ciò che gli altri non vogliono guardare.
Perché dietro ogni verità proclamata, c’è sempre un’altra verità taciuta.
E dietro ogni potere che si dice “liberatore”, c’è sempre un’ombra che chiede di essere riconosciuta.
È da lì che nasce il nostro cammino: dal coraggio di ribaltare ogni narrazione, di vedere ciò che di solito resta invisibile,
e dal desiderio di andare oltre il pensare, dove il confronto diventa conoscenza e la comparazione diventa libertà.
“Conta di più dire "pace" o smettere di produrre armi in nome della pace?”
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