Europa, vassalla d’America: la guerra infinita e la lezione della storia e il suo capovolgimento
“Chi rinuncia alla propria autonomia, non sceglie la pace: sceglie la dipendenza.”
Un continente culla di civiltà ma ridotto a vassallo
Immaginatevi un’Europa che si sveglia ogni mattina sotto l’ombra di una potenza lontana, un continente che si vanta di essere culla della civiltà, ma che, in fondo, si comporta come un vassallo.
È questa l’immagine che emerge, cruda e scomoda, dalle analisi di pensatori come Alessandro Orsini e Jeffrey Sachs, due voci che, pur con accenti diversi, convergono su un punto: l’Europa di oggi è un satellite degli Stati Uniti, trascinata in una “guerra infinita” che non le appartiene.
La promessa infranta: la NATO non si espanderà a est
La fine della Guerra Fredda, nel 1989-91, non è stata solo la caduta del Muro di Berlino o la dissoluzione dell’URSS. È stata anche una promessa.
Nel 1990, il Segretario di Stato americano James Baker, parlando con Gorbachev, assicurava che la NATO non si sarebbe espansa “neanche di un pollice” verso est, in cambio della riunificazione tedesca e della fine del Patto di Varsavia.
Una promessa verbale, mai scritta in un trattato, ma percepita all’epoca come un patto d’onore. Ebbene, quella promessa è stata infranta.
Dal 1994, sotto Clinton, la NATO ha accolto nuovi membri: prima Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca nel 1999, poi i Baltici, Romania, Bulgaria e altri nel 2004. Nel 2008, al summit di Bucarest, si è andati oltre: “Ucraina e Georgia diventeranno membri della NATO.”
La percezione russa: un accerchiamento esistenziale
La Russia, che si sentiva umiliata dopo il crollo sovietico, ha visto l’espansione della NATO come un accerchiamento.
Immaginate un generale zarista del XIX secolo che guarda una mappa: Polonia in NATO, Baltici in NATO, basi americane a poche centinaia di chilometri da San Pietroburgo. È paranoia? Forse. Ma la storia ci insegna che le percezioni contano quanto i fatti.
Quando Putin, nel 2007, al discorso di Monaco, ha avvertito che l’espansione NATO era una linea rossa, l’Occidente ha risposto con un’alzata di spalle.
E quando, nel 2021, ha chiesto garanzie scritte – no NATO in Ucraina, rispetto degli accordi di Minsk, riconoscimento della Crimea – gli Stati Uniti hanno scelto di ignorarlo, puntando, come ha detto il Segretario alla Difesa Austin, a “indebolire la Russia.”
Le radici del conflitto: Maidan, Minsk e il gioco americano
Questa guerra in Ucraina, scoppiata nel 2022, non è “non provocata”, come ripete la narrazione ufficiale americana. È il frutto di trent’anni di scelte deliberate:
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Espansione NATO.
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Rivoluzione di Maidan nel 2014 (che Sachs attribuisce anche a un intervento attivo degli USA, ricordando i 5 miliardi di dollari stanziati dal 1991 per sostenere “democrazia e riforme” in Ucraina, come ammesso da Victoria Nuland).
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Fallimento degli accordi di Minsk, sabotati da Kiev con il benestare occidentale.
Entrambi, Orsini e Sachs, vedono l’Ucraina come una pedina in un gioco più grande: quello dell’egemonia unipolare americana.
Europa: potenza autonoma o satellite?
Il punto più doloroso, come sottolinea Orsini, riguarda proprio l’Europa.
Perché l’Europa, che potrebbe essere una potenza autonoma – con 500 milioni di abitanti, un’economia gigantesca e una storia millenaria – si comporta come un vassallo?
Le decisioni strategiche non si prendono a Bruxelles, ma a Washington: inviare armi a Kiev, imporre sanzioni che hanno fatto esplodere il prezzo del gas, mettere a rischio l’economia del continente.
Sachs, parlando al Parlamento Europeo nel febbraio 2025, è stato lapidario:
“L’Europa è un vassallo, non un partner. State giocando a Risk con gli Stati Uniti, e state perdendo.”
Paralleli storici: dall’Impero Romano al blocco sovietico
La storia ci offre immagini inquietanti:
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i regni barbari del V secolo, formalmente indipendenti, ma piegati alla volontà di Costantinopoli;
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le repubbliche satellite dell’URSS, che seguivano Mosca senza fiatare.
L’Europa di oggi, dicono Orsini e Sachs, si trova in una posizione simile: senza esercito autonomo, senza politica estera unitaria, con media allineati alla narrazione atlantica.
Eppure, guardando il quadro più ampio, sembra che ci stiamo incamminando verso un mondo che normalizza la guerra. Un tempo l’Occidente usava i comunisti come pretesto per giustificare tensioni, eppure la guerra fu evitata.
Oggi lo scenario è diverso: fascismi e sovranismi si specchiano gli uni negli altri, tra Russia, Ucraina e Stati Uniti, come maschere che coprono fallimenti sociali ed economici. Tutti cercano un “dio degli eserciti” che li giustifichi, anche se il risultato non è altro che spingere i popoli verso il macello della vita.
Le soluzioni: neutralità o risveglio europeo
Per uscire da questa spirale, i due studiosi indicano due strade:
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Sachs propone la diplomazia: neutralità per l’Ucraina (come l’Austria nel 1955), ritiro delle basi NATO dai confini russi, dialogo tra Europa, Russia e Cina per una pace continentale.
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Orsini immagina un’Europa neutrale, con un esercito comune che sostituisca la dipendenza dalla NATO e una riforma politica che dia all’UE una vera voce autonoma.
Entrambi chiedono ai cittadini europei di svegliarsi e sviluppare un pensiero critico, capace di capovolgere la narrazione dominante.
Lezione della storia: il vento prima della tempesta
La storia non è solo un racconto, è una lezione viva.
Nel 1914, l’Europa si è buttata in una guerra mondiale per alleanze rigide e mancanza di visione. Oggi il rischio non è diverso: un’escalation in Ucraina, magari nucleare, potrebbe essere la nostra Caporetto.
Possiamo condannare Putin quanto vogliamo – e l’invasione del 2022 è indifendibile – ma ignorare le percezioni storiche russe è come ignorare il vento prima della tempesta.
Rifletti: un nuovo Concerto d’Europa
Orsini e Sachs, pur con linguaggi diversi, ci dicono una cosa semplice: l’Europa deve smettere di essere un pedone sulla scacchiera americana.
Nel 1815, dopo Napoleone, le potenze europee crearono il Concerto d’Europa per garantire la pace attraverso l’equilibrio.
Forse oggi serve un nuovo Concerto, capace di capovolgere la narrazione e restituire al continente una voce autonoma.
Altrimenti, la “guerra infinita” non sarà solo una metafora, ma il nostro futuro.
“La storia non assolve i vassalli: ricorda solo chi ha avuto il coraggio di capovolgere la narrazione.”
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