La Scienza e la Paura: Il Pensiero tra Molecole e Narrazioni
Allergie, Vaccini e Narrazioni: Quando la Biologia Incontra la Paura

“Non c’è nulla di più contagioso di una paura raccontata bene.”

Viviamo in un’epoca in cui ogni puntura, ogni compressa, ogni goccia di medicina può trasformarsi — nel giro di pochi secondi — in una battaglia ideologica.
Vaccini, intolleranze, allergie, farmaci: non sono più soltanto questioni di salute, ma di fede.
E in questo scontro tra scienza, esperienza e narrazione, il corpo umano è diventato il campo di battaglia di un conflitto che pochi comprendono davvero.

Il corpo non mente: le reazioni individuali

C’è chi prende un’aspirina e si gonfia come l’omino Michelin.
C’è chi, dopo un anestetico o un antibiotico, sviene, si arrossa o ha una crisi respiratoria.
Non perché quel farmaco sia “cattivo”, ma perché l’organismo ha reagito con un’allergia, cioè con un errore di riconoscimento: il sistema immunitario, che dovrebbe difenderci, attacca.

In biologia, questo non è mistero né complotto: è variabilità.

Gabor Maté, nel suo libro “Il Mito della Normalità”, mostra come molte reazioni del corpo non siano semplici disfunzioni, ma risposte adattive a un ambiente che sopprime l’autenticità e costringe l’organismo a difendersi anche da ciò che dovrebbe nutrirlo.

Ogni corpo è un laboratorio unico.
Un farmaco salvavita per milioni di persone può essere tossico per uno su centomila.
La medicina moderna lo sa, ma l’opinione pubblica spesso lo dimentica.

La statistica non cancella l’eccezione

Quando un vaccino o un medicinale viene approvato, lo è perché nella stragrande maggioranza dei casi i benefici superano di gran lunga i rischi.
Ma “stragrande maggioranza” non significa “tutti”.

Nella ricerca scientifica si parla di eventi avversi rari: reazioni anomale che avvengono, ma in un numero estremamente basso di casi.
È come dire: su un milione di voli aerei, dieci possono avere un guasto tecnico.
Non per questo smettiamo di volare, ma impariamo a conoscere le cause e a prevenire gli errori.

Il problema è che la mente umana non ragiona in termini statistici: ragiona per immagini, emozioni e storie.
E quando una mamma racconta che “dopo il vaccino mio figlio è cambiato”, quella storia pesa più di mille dati clinici.
Perché la paura è personale, viscerale, concreta.

Il potere della narrazione

Qui entriamo nel cuore del problema.
Non è solo questione di biologia o medicina, ma di narrazione.
Chi racconta l’evento, e con quale scopo?

Negli ultimi vent’anni, la rete ha trasformato ogni testimonianza in verità e ogni opinione in scienza.
YouTube, TikTok, Facebook — e persino certe testate — amplificano voci che non hanno gli strumenti per distinguere tra correlazione e causalità.
Dire “dopo il vaccino è successo” non significa “a causa del vaccino”.

Come spiega Massimo Polidoro nel suo libro “La Scienza dell’Incredibile”, la mente umana tende spesso a confondere correlazione e causalità: quando due eventi si succedono, li percepiamo come legati, anche quando non lo sono affatto.

Eppure la frase più pericolosa della comunicazione moderna è proprio:

“Io so di chi fidarmi.”

Come evidenzia Gilberto Corbellini in “Nel paese della pseudoscienza”, il vero pericolo non è la mancanza di informazioni, ma l’eccesso di pregiudizi che trasformano l’opinione in ideologia e soffocano la libertà di pensiero.

Perché fidarsi non è conoscere: è credere.
E credere, oggi, è più comodo che comprendere.

Quando il racconto serve più a chi parla che a chi ascolta

Perché raccontare qualcosa non è mai neutro: ogni racconto serve a qualcuno, anche solo a chi lo pronuncia.
Ed è qui che sorge una domanda che quasi nessuno osa porsi:

“Ma se mi racconti ogni cosa come qualcosa di negativo, a me cosa serve? E a te che la racconti, cosa serve davvero?”

Spesso, chi diffonde paura crede di “informare”, ma in realtà sta solo alimentando un campo emotivo in cui si sente potente.
La paura, infatti, dà identità: unisce chi ha paura, separa chi non l’ha ancora capita, e crea comunità che si sentono “più consapevoli” solo perché più diffidenti.

In questo modo, il racconto della paura diventa un meccanismo di controllo sottile: non serve a proteggere, ma a trattenere.
A trattenere l’attenzione, a trattenere l’energia, a trattenere il pensiero.
E così, mentre ci convinciamo di “difenderci dal sistema”, finiamo per diventare parte di un altro sistema: quello della sfiducia organizzata.

“Chi racconta solo il male, non illumina la verità: alimenta la propria ombra.”

Dai vaccini ai farmaci per la “vita moderna”

Nel frattempo, il mercato farmaceutico si è espanso oltre ogni limite razionale.
C’è chi prende antistaminici non per allergia, ma per “prevenzione”.
Chi si vaccina contro virus di cui ignora perfino il nome, o perché “lo fanno tutti al lavoro”.
E poi c’è chi — paradossalmente — assume farmaci per curare gli effetti collaterali di altri farmaci.

È il punto in cui la medicina diventa rituale: un gesto automatico di fiducia cieca nel sistema.

Come mostra Ben Goldacre in “Effetti Collaterali”, il confine tra cura e marketing è sempre più sottile: spesso ciò che ci viene presentato come prevenzione è, in realtà, il risultato di strategie di mercato costruite per mantenere la dipendenza psicologica dal farmaco stesso.

Lì non parliamo più di salute, ma di allegoria dell’obbedienza.
Come se avessimo paura di non essere “coperti” — non dal virus, ma dal dubbio.

Allergici all’immondizia

Oggi ci sono persone che si dicono “allergiche a tutto”: ai pollini, al glutine, all’aria, alla luce, perfino al Wi-Fi.
Alcune condizioni sono reali, altre sono sintomi psicosomatici, altre ancora sono il prodotto di una cultura che ha smarrito il contatto con la realtà corporea.
Siamo diventati allergici alla vita, alla materia, al caos naturale.
E, nel tentativo di sterilizzare tutto, ci siamo resi sterili noi.

La medicina, come ogni strumento umano, può essere salvifica o distruttiva — dipende da come la usiamo, da quanto comprendiamo il corpo e la sua intelligenza biologica.
Il problema non è il vaccino in sé, ma l’incapacità di pensare il corpo come parte della vita, non come macchina difettosa da riparare ogni anno.

Come ricorda Claudio Simeoni ne “Il Crogiolo dello Stregone”, l’essere umano non è una creatura da correggere, ma un processo in continua trasformazione: costruisce se stesso attraverso gli adattamenti soggettivi alle variabili oggettive della realtà.

Controbattere non significa negare

Essere critici non significa essere contro la scienza.
Significa chiedere chiarezza, onestà e libertà di scelta informata.
Significa non ridurre la complessità del vivente a uno slogan: né “vaccinatevi tutti”, né “non vaccinatevi mai”.
La verità, come sempre, abita negli spazi di mezzo: dove la paura incontra la conoscenza, e la conoscenza deve ancora imparare a comunicare senza arroganza.

“La libertà non è rifiutare: è comprendere.”

Rifletti

La scienza, da sola, non basta.
Serve anche la coscienza, quella che ci fa dire:

“Il mio corpo non è un numero, ma un’esperienza irripetibile.”

Solo quando riconosciamo la differenza tra biologia e narrazione, tra reazione e ideologia, tra cura e commercio, possiamo davvero andare oltre il pensare.

“Un conto è parlare di vaccini, farmaci e protocolli universali; un altro è comprendere le intolleranze, le allergie, le reazioni individuali che rendono unico ogni corpo.
Confondere questi due piani significa negare la complessità della vita stessa: perché la biologia non parla mai in termini assoluti, ma in infinite sfumature di risposta.”

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