Verità e Giustizia Non Sono la Stessa Cosa
«La giustizia, per essere tale, dovrebbe cercare la verità, non accontentarsi di trovare un colpevole.»
Quando Clint Eastwood decide di girare un film come Giurato Numero 2, non ci troviamo soltanto davanti a un grande spettacolo cinematografico. Ci troviamo davanti a un affresco di società, un modo per parlare di noi stessi senza pronunciare direttamente il nostro nome. Il cinema, in fondo, ha sempre avuto questo potere: raccontare storie che sembrano lontane e invece bussano alla porta della nostra esperienza quotidiana.
Il cast è di quelli che riempiono la scena: Nicholas Hoult, Toni Collette, J.K. Simmons, Kiefer Sutherland, Leslie Bibb. Ma la forza del film non sta solo negli attori: sta nello sguardo di Eastwood, nella sua capacità di smascherare il meccanismo profondo che regge la macchina della giustizia americana. Un meccanismo che, a ben vedere, non cerca davvero la verità, ma piuttosto un colpevole.
Ora, fermiamoci un istante. Pensa a un momento in cui ti sei sentito accusato, anche senza colpa. Forse sul lavoro, forse in famiglia, forse in un’amicizia. Ti ricordi la sensazione? Dove l’hai sentita? Alla gola che si stringeva? Nel petto che diventava duro come pietra? Oppure nello stomaco che si gonfiava come un pallone? Ecco, quello è lo stesso nodo che il film porta sullo schermo. Non un problema degli Stati Uniti, non un dettaglio del tribunale: è una dinamica che riguarda tutti.
L’America del “In God We Trust”
Eastwood non si limita a mostrarci un processo. Ci fa vedere, in controluce, la radice ideologica che lo sorregge. Dietro il giudice, in ogni aula americana, campeggia la scritta: In God We Trust. È il sigillo di un’intera visione del mondo.
Non si cerca la verità come dato nudo e crudo, si cerca piuttosto una narrazione che confermi la fede collettiva.
I presidenti giurano sulla Bibbia. Le leggi nascono intrecciate con i dogmi religiosi. La giustizia americana è, in parte, un’estensione della teologia. E in questo non c’è nulla di neutro: significa che ciò che è vero viene deciso da chi ha il potere di raccontarlo.
Se ci pensi, è lo stesso principio che portò Giordano Bruno al rogo. Lui osò dire che il Vangelo non era la verità assoluta, ma una “nuova novella”: una sceneggiatura costruita per imporre un mondo. Per questo fu imbavagliato e bruciato: perché chi mette in dubbio la narrazione dominante diventa il vero colpevole.
Se non credi, sei colpevole
Il sistema giudiziario americano non ha inventato nulla di nuovo: ha ereditato l’ossessione monoteista di ridurre la complessità a un’unica verità. Non importa se quella verità coincide con i fatti: conta che serva a reggere l’impalcatura sociale.
E qui torniamo a noi. Anche nella vita quotidiana spesso non importa ciò che sei, ma ciò che gli altri hanno deciso che tu sia. E se provi a non crederci, se provi a dire “io non sono quello”, ecco che subito diventi sospetto, colpevole, da mettere all’angolo.
Il magistrato Nicola Gratteri lo ha ricordato più volte: i processi americani non cercano la verità, cercano una verità funzionale, un’illusione di giustizia. E questo Eastwood lo mette a nudo con una lucidità che spiazza.
La realtà raccontata a comando
Il film, però, va oltre. Ci dice che non esiste informazione neutrale. Ogni notizia è una narrazione, un mito, un filtro ideologico. Cattolico, comunista, scientista, nazionalista: poco importa il colore, la logica è sempre la stessa.
E se ci pensi, quante volte anche tu hai creduto a una narrazione che poi si è rivelata parziale, se non addirittura falsa? Una relazione, un’amicizia, un lavoro che ti era stato presentato come “giusto” e che invece era solo utile a qualcun altro.
In quei momenti, prova di nuovo a fermarti. Appoggia la mano sul punto del corpo dove senti il peso. Non fuggire. Perché lì c’è il loop comportamentale che ti tiene incastrato nella storia scritta da altri.
L’educazione al dogma
Eastwood ci mostra anche come tutto questo cominci presto, da bambini. Non si tratta di imparare a distinguere la realtà, ma di assorbirne una versione già confezionata: bene e male, colpevoli e innocenti, giusto e sbagliato.
La violenza più grande che possiamo fare a un bambino non è fisica: è costringerlo a guardare il mondo con occhi che non sono i suoi. E così da adulti restiamo incapaci di pensare criticamente.
Due popoli, due culture, due religioni possono guardare lo stesso fatto e vederlo in maniera opposta. Non perché il fatto cambi, ma perché cambiano i filtri con cui lo leggono.
Una giustizia che è solo finzione
Alla fine, Eastwood ci lascia con una domanda: possiamo davvero fidarci di un sistema costruito su narrazioni imposte? La risposta è dura: no. La giustizia che vediamo sullo schermo non è la ricerca della verità, ma la costruzione di una finzione accettata.
E allora il film non è più solo un film. Diventa uno specchio. Ci costringe a guardare dentro di noi, a chiederci: quante volte ho accettato una verità che non era mia? Quante volte ho creduto a una giustizia che non faceva altro che zittire le mie domande?
Rifletti: la prima vittima è sempre la verità
Giurato Numero 2 è un’opera potente perché smonta l’illusione più grande: che la giustizia e la verità coincidano. Non è così. La verità è fragile, sottile, vive nel corpo che sente e non nelle scritte sui tribunali. È la prima vittima quando un sistema diventa troppo rigido, quando un dogma pretende di parlare a nome di tutti.
E allora, se vuoi davvero capire il messaggio del film, non guardare solo gli attori in scena. Guarda dentro di te. Lì dove senti il peso, la stretta, il nodo. Perché è da lì che passa la tua capacità di controbattere la narrazione imposta e di restare vivo, presente, nonostante tutto.
«La prima vittima di ogni sistema dogmatico non è l’uomo, ma la verità che gli viene strappata di bocca.»
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