Liosmel e Liosbel Sánchez: quando la libertà diventa etichetta

Che Libertà è, se per Cuba sei un Traditore e per l’America un Clandestino?

“Ci sono abbracci che liberano e abbracci che incatenano: lo capisci quando smettono di chiamarti per nome e iniziano a chiamarti per etichetta.”

Chi sono davvero i fratelli Sánchez?

Quando leggiamo i nomi di Liosmel e Liosbel Sánchez, rischiamo di pensare: due ragazzi come tanti, emigrati cubani negli Stati Uniti. Ma in realtà sono molto di più. Sono due simboli.

A Cuba hanno partecipato alle proteste dell’11 luglio 2021, una delle più grandi ondate di dissenso popolare mai viste sull’isola dopo decenni di regime. Da quel giorno lo Stato li ha marchiati: traditori.
Fuggono, passano per il Messico, arrivano negli Stati Uniti e chiedono asilo politico. Ma il sistema americano non li vede come simboli di libertà. Li chiama clandestini.

Questa è la realtà: per Cuba non appartengono più al popolo, per l’America non appartengono alla legge.

Perché le etichette contano più delle persone?

Nella storia è sempre stato così.
La Chiesa medievale non chiamava un eretico “un uomo che pensa diversamente”, lo chiamava eretico, punto. Così poteva bruciarlo.
Il potere coloniale non chiamava gli africani “esseri umani”, li chiamava schiavi, e così poteva venderli.
I regimi totalitari del Novecento non chiamavano gli oppositori “cittadini”, li chiamavano nemici del popolo o parassiti.

Hannah Arendt, in Le origini del totalitarismo, ha spiegato che la forza dei regimi sta proprio qui: cancellare l’individuo trasformandolo in etichetta, in categoria, in oggetto da gestire.

E oggi?
Un cubano che protesta è un traditore.
Un cubano che chiede asilo in America è un clandestino.

Le etichette non descrivono la realtà: servono a giustificare il potere.

Che analogia c’è con le relazioni?

Potrebbe sembrare un salto logico, ma in realtà non lo è.
Quante volte, in una relazione, un abbraccio che sembrava sincero si trasforma in catena?
Quante volte un uomo o una donna smettono di chiamarti per nome e ti ribattezzano con un’etichetta: “sei pesante”, “sei inutile”, “sei un fallito”?

È lo stesso meccanismo. Non ti vedono più per ciò che sei, ma per ciò che non servi più ad essere.
Così come il potere politico o burocratico non ha interesse alla tua libertà, chi ti etichetta non ha interesse al tuo valore, ma solo a quanto puoi ancora funzionare nei suoi giochi.

Cuba o America, amore o seduzione: cosa cambia davvero?

La verità è che cambia solo il linguaggio, non la sostanza.

  • Lo Stato cubano reprime il dissenso con l’accusa di tradimento.

  • Lo Stato americano reprime la richiesta d’asilo con la categoria del clandestino.

  • In una relazione tossica, l’altro reprime la tua libertà chiamandoti “troppo”, “sbagliato”, “fastidioso”.

In tutti i casi, l’obiettivo è lo stesso: ridurre l’altro a un’etichetta per non doverlo più guardare in faccia.

Michel Foucault, in Sorvegliare e punire, ci ricorda che non servono solo le prigioni con le sbarre: ogni società costruisce recinti invisibili che funzionano allo stesso modo. È lì che vivono i fratelli Sánchez oggi: tra una prigione politica e una prigione burocratica, entrambe giustificate da etichette.

Un esempio storico: i soldati “disertori”

Prendiamo un parallelo dalla storia.
Nell’antichità e nel Medioevo, i soldati che abbandonavano la battaglia non erano chiamati “uomini che hanno paura” o “padri che volevano tornare dai loro figli”. Erano chiamati disertori.
E quella parola bastava per giustificare la pena di morte.

Oggi funziona allo stesso modo, anche se con parole diverse: traditore, clandestino, clandestino sentimentale. Non conta la realtà della persona, conta la funzione dell’etichetta.

Che lezione ci danno i fratelli Sánchez?

La loro vicenda è la dimostrazione vivente che non c’è bandiera che possa garantire la tua libertà.
Il regime li imprigiona chiamandoli traditori.
La democrazia li imprigiona chiamandoli clandestini.

E noi?
Noi possiamo imparare che ogni volta che ci accettiamo dentro un’etichetta, abbiamo già perso.
La seduzione non è recitare frasi a effetto o fingersi chi non siamo. È rifiutare le etichette e pretendere di essere chiamati per nome.

Nuccio Ordine, ne L’utilità dell’inutile, ci ricorda che l’uomo non è un ingranaggio da catalogare in “utile” o “inutile”. La dignità di una vita non dipende da quanto serve al potere, ma da ciò che sa creare, amare, pensare anche fuori dalle logiche di mercato o di dominio.

Rifletti: la vera libertà non ha bandiere

I fratelli Sánchez non sono soli, perché raccontano qualcosa che riguarda tutti noi.
Siamo soli ogni volta che accettiamo l’abbraccio che ci incatena, ogni volta che ci lasciamo chiamare con un nome che non è il nostro.

La vera libertà non te la dà Cuba, non te la dà l’America, non te la dà un uomo o una donna che ti vuole a metà.
La vera libertà nasce quando smetti di rispondere alle etichette e ricominci a vivere come chi sei davvero.

“Quando il potere ti chiama traditore o clandestino, ricordati che non parla di te, ma del fatto che non servi più alle sue catene. È lì che inizia la tua libertà.”

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