Due Mondi, Nessuna Parola

Quando la Donna Non Ha Parola: Dal Silenzio Militare Cinese al Selfie Europeo

«Una donna che non spicca parola non mostra solo silenzio: mostra l’assenza di pensiero, e con essa l’assenza di confronto.»

In questi giorni i media hanno offerto due spettacoli che sembrano agli antipodi, ma che in realtà si assomigliano più di quanto vorremmo ammettere.
Due donne simbolo, due immagini da prima pagina: la soldatessa cinese in parata e la principessa europea dei social.
Due mondi lontani che, se guardati da vicino, hanno in comune una caratteristica sconcertante: nessuna delle due sa spiccicare una parola.

Non un pensiero articolato, non un commento, non una frase che lasci intravedere l’ombra di una riflessione. Solo due rappresentazioni mutaforme, fatte per essere consumate dagli occhi, non per dialogare con la mente.

La donna-soldato: silenzio imposto

La parata militare cinese ha mostrato file perfette di donne-soldato. Tutte uguali, tutte immobili dentro un passo rigido che non ammette deviazioni.
Guardandole, si percepisce subito che lì la parola non esiste. Non serve, non è prevista, non è ammessa.

La loro bocca non racconta: obbedisce.
Il loro volto non esprime: rappresenta.
Il loro respiro non appartiene a loro: è sincronizzato al ritmo del potere.

La donna-soldato è la negazione del dialogo, perché non ha nulla da dire. Non può commentare, non può esprimere dissenso, non può raccontare ciò che sente. La sua voce è stata sequestrata dallo Stato e sostituita con una marcia.

Il risultato? Una disciplina senza identità, un corpo che non parla, una presenza muta.
Dietro la compattezza dei passi si cela il vuoto: nessun pensiero espresso, nessun confronto possibile.

La donna-social: parola assente

Passiamo all’Europa. Qui il palcoscenico non è una piazza militare, ma uno schermo illuminato da flash e filtri Instagram.
La donna europea mostrata dai media non marcia, ma posa. Non obbedisce a un ordine, ma a un algoritmo. Non indossa l’uniforme, ma il selfie.

Eppure, anche qui, il risultato è identico: nessuna parola.

Le immagini mostrano corpi scolpiti, sorrisi in posa, gesti studiati. Ma quando queste donne aprono bocca, cosa sentiamo?
Nulla di significativo. Un linguaggio ridotto a slogan: “Io non devo lavorare”, “Tu devi pagare”, “Tu devi corteggiare”.
Frasi vuote, ripetute come un mantra privo di spessore.

Non un pensiero nuovo, non un’idea, non un commento che dimostri di aver riflettuto sulla vita, sulla società, sul presente.
La parola è assente, e quando tenta di apparire, è fragile, stonata, subito travolta dall’ostentazione del corpo.

La donna-social è la negazione del pensiero.
Se la donna-soldato è il silenzio imposto, la donna-social è il silenzio scelto.

Due estremi, una stessa assenza

Potrebbero sembrare mondi lontani: da un lato il rigore militare, dall’altro l’apatia del privilegio. E invece si toccano, perché entrambi portano allo stesso punto: l’assenza di parola, di pensiero, di commento.

  • La donna-soldato non parla perché non può.

  • La donna-social non parla perché non sa.

Nel primo caso, la parola è censurata.
Nel secondo, la parola è dimenticata.
In entrambi, la donna non è più individuo: è simbolo, immagine, caricatura.

E in questo annullamento, l’uomo resta escluso: accanto, ingranaggio o bancomat. Anche lui senza dialogo.

Perché la parola conta

La questione non è estetica, non è morale, non è ideologica.
Il punto centrale è che senza parola non c’è pensiero. Senza pensiero non c’è confronto. Senza confronto non c’è crescita.

Affrontare la parola di una donna-soldato o di una donna-social sarebbe possibile, se ci fosse. Ma il problema è che, in entrambi i casi, non c’è niente da affrontare.

E qui emerge la contraddizione più grande del nostro tempo: i media non ci mostrano individui con cui dialogare, ma manichini con cui consumare immagini.
Non si tratta più di ascoltare una voce femminile, ma di accettare due versioni opposte e speculari del mutismo: quello disciplinato e quello frivolo.

Affrontare il pensiero – se esiste

La domanda che resta è semplice e brutale: queste donne hanno un pensiero?
Se sì, dove si nasconde?
Se sì, perché non lo mostrano?

Affrontare il pensiero di una donna-soldato significherebbe ascoltare cosa prova mentre marcia, cosa pensa del suo ruolo, se percepisce il peso del silenzio.
Affrontare il pensiero di una donna-social significherebbe sentire oltre la posa, oltre il filtro, oltre il corpo in esposizione.

Ma finché non spiccano parola, resta solo un vuoto. E un vuoto non si affronta: si subisce.

La necessità del confronto

Non basta dire “questo è il modello cinese” e “questo è il modello europeo”.
Il vero nodo è che entrambi rifiutano la stessa cosa: il confronto con la parola viva.

Ed è proprio qui che si vede la differenza tra un simbolo vuoto e una donna-artista. La donna-artista non tace mai davvero: anche quando non usa la voce, parla attraverso ciò che crea. Una scultrice che plasma la materia, una musicista che compone, una filosofa che smonta un dogma, persino una mistica autentica che apre spazi oltre il pensiero ordinario: tutte lasciano tracce vive, non immagini mute.

Un mondo senza parola è un mondo senza respiro. È come una stanza dove entra solo fumo: puoi guardare, puoi tossire, ma non puoi parlare.
La parola è ciò che distingue l’individuo dalla massa, l’essere umano dal simbolo, il pensiero dall’automatismo.

Se la donna non spicca parola, non possiamo incontrarla.
E senza incontro, resta solo rappresentazione.

Rifletti: il coraggio di parlare

Cina e Europa ci hanno offerto due caricature. La soldatessa muta e la principessa vuota.
Due estremi che, pur sembrando lontani, condividono la stessa tragedia: la cancellazione della parola, e quindi del pensiero.

La domanda che dobbiamo porci non è “cosa mostrano i media?”, ma “dove sono le parole di queste donne?”.
Perché finché resteranno mute, non ci sarà dialogo.
E senza dialogo, non ci sarà mai né libertà né dignità, né per loro né per noi.

«Se la donna non spicca parola, non esiste pensiero da affrontare.
E senza pensiero, resta solo il vuoto travestito da spettacolo.»

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