Desiderarla fino a riconoscermi in lei.
Quando il piacere non è possesso ma rivelazione di sé
Ci sono sguardi che non cercano l’altro.
Cercano sé stessi nell’altro.
Ci sono notti, momenti, respiri — in cui il desiderio non ha più sesso, non ha più ruoli, non ha nemmeno più direzione.
Si fa trasparente. Si fa specchio.
Si fa incarnazione del proprio desiderio attraverso l’altro corpo.
Mi è successo.
Guardare una donna e sentirlo chiaro:
“Se fossi lei, vorrei essere presa proprio da me.”
Una frase che può sembrare assurda, narcisistica, ma che in realtà rompe i confini tra soggetto e oggetto, tra chi ama e chi riceve l’amore, tra chi domina e chi si lascia attraversare.
Non era solo attrazione.
Era riconoscimento profondo.
La sua pelle sembrava la mia.
Le sue curve, il suo respiro, il modo in cui si muoveva — tutto mi parlava come un’eco familiare:
“Così mi scoperei, se fossi tu.”
E allora non sapevo più dove finiva il mio corpo e dove iniziava il suo.
Mi vedevo da fuori, pieno di voglia, pieno di forza.
Mi vedevo da dentro, pieno di godimento, pieno di apertura.
La scopavo. Ma stavo anche facendo l’amore con me stesso.
Con quella parte nascosta, invisibile, profonda… che prende e riceve. Che vibra in ogni contatto, ma che raramente lasciamo emergere.
E lì ho capito che il sesso più potente non nasce dalla distanza tra due corpi, ma dalla fusione tra due polarità dello stesso essere.
Il corpo dell’altro diventa un tramite.
Una porta.
Una possibilità di possedersi per intero.
Amare. E sentirsi amati. Nello stesso identico gesto.
Forse è questa la verità che non si dice mai:
che in ogni donna che desideriamo davvero, c’è anche un pezzo di noi.
E quando la prendiamo con autenticità, non la usiamo.
Ci riconosciamo.
Ogni donna che non guardi, non tocchi, non chiami… non è altro che un potenziale mai esploso. Non è reale. È solo un’onda che non si è mai piegata verso di te. Ogni relazione crea un mondo. Senza relazione, quel mondo – per te – non si apre. - by Duca Ale Robusti