Una Civiltà Sana Vive di Scienza, Bellezza e Dialogo.
La vera forza non è solo difesa: è saperla trasformare in cultura, scienza e dialogo che costruiscono futuro.
Se vogliamo capire perché Israele è così forte militarmente, dobbiamo guardare alla sua storia. È uno Stato nato nel 1948, in un contesto ostile, circondato da Paesi che fin dal primo giorno dichiarano guerra. Israele non ha mai avuto il lusso di sentirsi “tranquillo”. Ogni generazione ha conosciuto almeno un conflitto: la guerra d’indipendenza, la crisi di Suez, la guerra dei Sei Giorni, del Kippur… una sequenza continua.
Questo vuol dire che difendere lo Stato non è mai stato un discorso ideologico: è stato un fatto di sopravvivenza. In Israele, ogni ragazzo e ogni ragazza sa che a diciotto anni entrerà nell’esercito. È la normalità: come andare all’università o trovarsi un lavoro. In altre società l’esercito è un corpo separato, quasi invisibile. In Israele no. L’esercito è parte della vita civile: ti forma, ti dà competenze, e quando smetti di essere soldato, quelle competenze te le porti dietro nel lavoro, nella tecnologia, nelle start-up.
E qui si vede la differenza. Perché Israele è diventato una potenza militare? Certo, c’è il sostegno americano, ci sono le armi sofisticate. Ma c’è soprattutto una mentalità collettiva: l’idea che senza difesa non esiste futuro. Questa convinzione non la costruisci con la propaganda, ma con la vita quotidiana: con le sirene che ti fanno scendere nel rifugio, con i razzi che cadono, con i vicini di casa che sono ufficiali dell’esercito. È l’ambiente che ti educa, proprio come l’ambiente mafioso educa in Calabria, o come l’ambiente del bar sport educa i suoi frequentatori.
Questa è la chiave: Israele non è forte solo perché ha le bombe, ma perché ha una società in cui la difesa è diventata identità. È il collante che ha trasformato un Paese nato da immigrati di cento origini diverse in una comunità con un destino comune. È questo che spiega la sua resilienza, molto più delle armi o della geopolitica.
Una società non è forte perché si difende, ma perché trasforma la difesa in conoscenza, bellezza, scienza e dialogo.
E se poi ci chiediamo: “Chi sono i criminali, gli israeliani o i palestinesi?”, ecco la risposta: nessun popolo intero è criminale. Gli israeliani non lo sono in quanto israeliani, e i palestinesi non lo sono in quanto palestinesi. Sono due popoli che vivono da decenni dentro una storia complicatissima, dove ogni atto di violenza sembra giustificato come risposta a un’altra violenza precedente.
Gli israeliani nascono da una ferita storica: l’Olocausto. Quando nel 1948 si fonda lo Stato di Israele, c’è la convinzione che, se non si difendono da soli, nessuno lo farà per loro. Ecco allora la leva obbligatoria, l’esercito sempre pronto, l’idea che difendere lo Stato non è una scelta politica, ma una questione di sopravvivenza.
Dall’altra parte, i palestinesi nascono da un’altra ferita: la Nakba, la “catastrofe”, cioè la perdita delle loro terre, delle loro case, lo sradicamento di centinaia di migliaia di persone. Da allora vivono tra occupazione, campi profughi, muri e check-point. Per molti, l’unico linguaggio che resta è quello della resistenza armata. Ed è qui che entra in scena Hamas, con la sua ideologia religiosa e i suoi razzi lanciati a caso sulle città israeliane.
Ora, se mi chiedete: “Chi sono i criminali?”, io vi direi così:
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Quando Hamas lancia razzi contro i civili, quello è terrorismo, e dunque un crimine.
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Quando Israele bombarda Gaza e uccide centinaia di civili, anche quello è un crimine, anche se viene giustificato come autodifesa.
Capite la tragedia? Ognuno si presenta come vittima che reagisce. Gli israeliani dicono: “Se non ci difendiamo, ci cancellano dalla mappa.” I palestinesi dicono: “Se non resistiamo, resteremo prigionieri per sempre.” E così il cerchio della violenza non si spezza mai.
Ecco perché non ha senso parlare di popoli criminali. Ha senso parlare di scelte politiche e militari criminali, fatte da chi governa o da chi guida i gruppi armati. Ma dentro questi popoli ci sono milioni di persone che vogliono solo una vita normale, che pagano il prezzo più alto senza avere colpa.
In questo, Israele e Palestina ci insegnano una lezione amara e universale: quando l’identità di un popolo diventa inseparabile dalla difesa, la pace diventa quasi impossibile. Perché ogni concessione sembra un tradimento, e ogni cedimento sembra la fine.
La forza non è difesa, ma ciò che nasce da essa.
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