Nel corpo che sente abitano gli Dèi
Nel Corpo che Sente Abitano gli Dèi

“ Quando smetti di pensare e inizi a respirare, la divinità si fa carne. Gli Dèi non si pregano: si respirano. Ogni vibrazione del corpo è una risposta divina che attende di essere ascoltata.”

Il corpo non è un contenitore: è un tempio che parla

Da secoli l’uomo cerca la verità fuori da sé: nei cieli, nei dogmi, nei laboratori, nei manuali che spiegano come vivere.
Ma il vero mistero non è mai stato altrove.
È nel corpo — in quel ritmo di respiro, tensione e rilascio che accompagna ogni istante della vita.
Il corpo non è un meccanismo da mantenere efficiente: è una coscienza che si esprime attraverso la materia.

Claudio Simeoni in quasi tutti i suoi libri scrive:

“I Pagani non supplicano gli Dèi, li abitano in un cammino quotidiano che va dalla nascita del corpo fisico alla morte dello stesso.”

Non c’è separazione tra il corpo che sente e la divinità che agisce: sono la stessa cosa che si manifesta in due linguaggi diversi — il linguaggio della carne e quello della forza.

L’uomo che funziona e l’uomo che vibra

L’essere umano di oggi è stato addestrato a funzionare, non a vibrare.
Funzionare significa operare secondo un programma esterno: studia, produci, consuma, riposati e ricomincia.
È un modo di esistere che risponde al bisogno di ordine, non al bisogno di senso.

Vibrare, invece, è il contrario: significa rispondere dal profondo.
È ascoltare quel movimento interiore che cambia il ritmo del respiro, che spinge a fermarti o a muoverti senza una ragione apparente.
È il linguaggio dell’inconscio, che non parla per concetti ma per sensazioni dirette: sì o no, avanti o indietro, apertura o chiusura.

Stefano Benemeglio lo aveva espresso in modo magistrale:

“Né tu, né io sappiamo cosa fare; lo sa l’inconscio, chiedendoglielo.”

E così, quando chiedi davvero, il corpo risponde.
Non con una voce, ma con un impulso.
È in quel momento che la volontà profonda si manifesta: non come desiderio di “fare”, ma come energia che chiede di essere seguita.

Dove abita il linguaggio dimenticato

Il linguaggio dimenticato dell’uomo non è fatto di parole, ma di movimenti interni.
È inciso nei muscoli, nel ritmo del respiro, nelle sensazioni che non abbiamo imparato a decifrare.
Ogni impulso corporeo è una sillaba del linguaggio degli Dèi.

Quando ti chiedi “dove si entra per vedere quel linguaggio dimenticato?”, la risposta non è un luogo, ma una soglia: quella del respiro.
È nel respiro che il corpo e la coscienza si incontrano.
Quando smetti di forzarlo e lasci che accada da solo, riemerge la volontà che si era assopita sotto strati di pensieri e condizionamenti.

Non è una volontà che comanda, ma che muove.
È una forza antica che ti spinge a trasformarti, non a obbedire.
E quando l’inconscio ti dice “sì, seguimi”, inizia la vera iniziazione: l’uomo che funziona muore, nasce l’uomo che vibra.

Il respiro come soglia del divino

In ogni inspirazione entra il mondo.
In ogni espirazione, tu lo restituisci trasformato.
È un atto sacro che ripeti migliaia di volte al giorno senza accorgertene.
Eppure, lì si gioca tutto: la presenza, la consapevolezza, la forza.

Quando respiri consapevolmente, il corpo smette di essere un servo e torna a essere un alleato.
Non devi dirgli cosa fare: gli chiedi cosa vuole, e lui risponde.
A volte con un’espansione, a volte con una chiusura.
Ogni respiro diventa una conversazione fra te e gli Dèi che ti abitano.

Prova a chiedere:

“Caro inconscio, vuoi che inizi da subito a respirare in modo diverso, più profondo e consapevole, per permetterti di guidarmi da dentro?”

E ascolta.
Se arriva un “sì”, non è un pensiero. È la volontà degli Dèi che si manifesta in te.
Da quel momento, ogni respiro diventa un atto di trasformazione.

Quando la trasformazione non è un’idea ma un corpo che cambia

La trasformazione non accade quando impari qualcosa di nuovo, ma quando il corpo cambia modo di reagire.
Non è questione di visione, ma di vibrazione.
L’inconscio non vuole che tu capisca: vuole che tu senta.

E se il corpo dice “sì” al respiro e “no” all’azione esterna, significa che il cambiamento deve ancora compiersi dentro.
È un richiamo a lasciar agire la forza, non a usarla.
Come un fiume che ritrova il proprio letto, la volontà si riorienta da sola se smetti di ostacolarla con pensieri e programmi.

Allora il respiro diventa la tua preghiera pagana: non per chiedere, ma per partecipare alla divinità che sei.

“Non cercare la divinità nei cieli, ma nel ritmo che ti attraversa.
Quando il respiro diventa consapevole, anche gli Dèi respirano con te.”

La pratica del ritorno: dialogare con il corpo

Non serve meditare ore, né cercare silenzi assoluti.
Basta tornare, ogni giorno, per pochi minuti, a quella soglia viva del respiro.

  1. Entrata nel corpo
    Senti i piedi sulla terra e pronuncia mentalmente:
    “Caro inconscio, io sono qui.”
    Non forzare nulla: lascia che un micro movimento, un ondeggiare, ti dica che il corpo ha ascoltato.

  2. Il respiro che ascolta
    Inspira dal naso, espira dalla bocca, ma lascia che sia il corpo a decidere il ritmo.
    Mentre espiri, ripeti dentro di te:
    “Mi lascio respirare.”
    È la frase che libera l’inconscio dal controllo.

  3. La domanda viva
    Quando senti pace, chiedi:
    “Caro inconscio, cosa vuoi che io impari oggi attraverso il mio corpo?”
    E ascolta la risposta: un sì, un no, un calore, una vibrazione.
    Ogni segnale è una sillaba del linguaggio degli Dèi.

  4. L’integrazione
    Alla fine inspira profondamente e, espirando, pensa:
    “Porto con me questa forza.”
    È un modo per far sedimentare nel corpo ciò che hai sentito.

  5. Il richiamo serale
    Prima di dormire, puoi chiedere:
    “Caro inconscio, oggi ho respirato come mi hai chiesto?”
    Il corpo risponderà anche nel sonno, perché la comunicazione continua oltre la veglia.

Quando l’uomo smette di funzionare, gli Dèi tornano a parlare

Forse la tragedia dell’uomo moderno non è la perdita della fede, ma la perdita del corpo come via alla divinità.
Quando smettiamo di sentirci, gli Dèi tacciono.
Quando torniamo a sentire, loro parlano di nuovo — non come voci, ma come correnti di sensazione che ci attraversano.

Ogni volta che ascolti il respiro invece del pensiero, gli Dèi si ridestano.
Ogni volta che segui un sì del corpo, torni a essere abitato, non solo vivo.
L’uomo che si costruisce come Coscienza di Sé non cerca più fuori le risposte: le sente dentro, nel ritmo del proprio battito.

Il respiro come tempio

Nel mondo cristiano si cerca Dio inginocchiandosi.
Nel mondo pagano lo si incontra respirando.
È nel respiro che la divinità entra ed esce, trasformandoti un poco a ogni soffio.
Gli Dèi non dicono cosa fare, ma si muovono in te come il vento che piega l’erba senza spezzarla.

E allora sì, dopo milioni di anni di adattamenti e di sfide, forse l’uomo ha dimenticato il linguaggio dei propri Dèi interiori.
Ma non li ha perduti.
Essi dormono nei polmoni, nelle viscere, nei battiti che non ascolti più.

Basta un respiro consapevole per risvegliarli.

“Nel corpo che sente abitano gli Dèi.
Non nei cieli, non nei templi.
Ogni volta che il respiro si apre, una divinità si ricorda di esistere dentro di te.”

Questo articolo fa parte del progetto Controbattere – Oltre il Pensare, dedicato alla trasformazione consapevole dell’essere umano attraverso il corpo, la filosofia pagana e la conoscenza esperienziale.

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