Ogni corpo parla, anche quando tace. Un gesto, uno sguardo, una postura: tutto racconta ciò che la mente non sa ancora dire.
Quando il Corpo Ti Parla: Allenarsi a Volersi Davanti a Tutto

Osservare Come il Proprio e L’altrui Corpo Risponde alle Immagini, ai Simboli, ai Volti Reali o Immaginati.

Dal riflesso automatico alla libertà di scelta

Ci sono momenti in cui ci accorgiamo che reagiamo sempre allo stesso modo:
una persona ci guarda e ci irrigidiamo,
un pensiero ci attraversa e perdiamo forza,
una situazione si ripete e dentro di noi scatta la solita “puttanata automatica”.

Non è colpa. È meccanismo.
Il corpo risponde prima della mente, e spesso lo fa seguendo programmi antichi, costruiti per proteggerci quando non avevamo ancora la consapevolezza per scegliere.
Ma se non impariamo a leggere questi segnali, restiamo prigionieri delle nostre stesse difese.

La vera libertà comincia quando, invece di giudicare la reazione, impariamo a sentirla.
A chiederci:

“Io, adesso, mi voglio come sono davanti a questa immagine, a questa persona o a questa situazione?”

È una domanda semplice, ma rivoluzionaria.
Perché ci riporta nel corpo, e ci obbliga a guardare dove la nostra libertà si interrompe.

Imparare ad ascoltare il corpo è la forma più concreta di amore per se stessi.

La domanda che riporta a casa

Ogni volta che ci sentiamo inadeguati, tesi o svuotati, non è la realtà a farci male,
è la parte di noi che in quel momento non riesce più a volersi.
Non è “lei che non mi vuole”, non è “lui che non mi capisce”:
è io che smetto di essere intero davanti a quella scena.

Questa consapevolezza non serve per colpevolizzarsi, ma per rientrare in possesso del proprio potere.
Quando diciamo “non mi voglio come sono davanti a questo”, stiamo semplicemente riconoscendo dove non siamo ancora liberi.
E riconoscerlo è il primo passo per trasformarlo.

Non è filosofia astratta: è biofeedback.
Il corpo parla sempre per primo, con un respiro trattenuto, un muscolo che si chiude, un battito che cambia. Se impariamo ad ascoltarlo, scopriamo che ogni contrazione è una bussola: ci mostra la frontiera della nostra evoluzione.

Dal “mi voglio come sono” al “mi voglio come mi sto diventando”

Ci sono tre varianti di questa domanda che, se usate con costanza, diventano un vero e proprio allenamento interiore.

  1. Mi voglio come sono.
    È la base. Serve per fermare il giudizio e accogliere ciò che c’è.
    Prima di cambiare, bisogna riconoscere dove si è.
    È il punto zero della presenza: mi vedo, non scappo, mi accolgo.

  2. Mi voglio come mi sto diventando.
    È la fase del processo. Significa: mi voglio mentre mi trasformo.
    Non pretendo di essere già arrivato, ma non mi perdo nel vecchio me.
    È la frase che apre il movimento, che toglie il peso della perfezione e accende la curiosità di vedere come mi sto evolvendo.

  3. Mi voglio come desidero essere.
    È la visione. Significa: mi allineo già alla frequenza di ciò che desidero incarnare.
    Il corpo, quando lo senti davvero, non distingue tra immaginazione e realtà:
    registra come “vero” ciò che senti come tale.
    È così che la presenza diventa magnetismo, e il desiderio diventa direzione.

L’allenamento invisibile

Puoi applicare questa pratica in qualsiasi momento della giornata.
Mentre lavori, mentre parli con qualcuno, o anche solo mentre pensi a qualcosa che ti mette a disagio.
Perché sì — anche il pensiero è una situazione.
Ogni immagine mentale genera una risposta corporea.
E se quella risposta ti indebolisce, è segno che quella immagine non rappresenta più chi sei.

Basta un respiro consapevole e la domanda:

“Io, adesso, mi voglio come sono davanti a questo pensiero?”

Non devi analizzare, solo sentire.
Se il corpo si rilassa, sei nel tuo centro.
Se si contrae, hai appena scoperto il punto in cui puoi evolvere.

La trasformazione avviene qui: nel momento esatto in cui ti accorgi di un vecchio automatismo e scegli di restare invece di reagire.
Quel respiro che ti mantiene presente è la nascita di una libertà nuova.

Quando la presenza diventa fascino

Questo allenamento non serve solo per stare meglio.
Serve per diventare più veri.
E la verità, nel corpo, è magnetica.

Quando sei davanti a qualcuno che ti attrae, e invece di cercare approvazione ti chiedi “mi voglio come sono davanti a lei?”, stai facendo l’atto più potente che esista: non cedi il potere all’altro, lo riporti a casa.

È lì che nasce il fascino autentico — non nel piacere all’altro, ma nel piacersi nel momento stesso in cui si è. Allora la presenza diventa luce, non sforzo; e anche se l’altro non ti guarda, la realtà comincia ad accorgersi di te.

Il corpo non mente mai: ogni segnale è una via per tornare a casa.

La libertà è nel corpo

La libertà non è un concetto mentale, è una sensazione fisica.
È il momento in cui, davanti a qualsiasi scena — una persona, un pensiero, un ricordo —
senti che puoi restare integro, senza contrarti, senza mascherarti.

È lì che la frase “mi voglio come sono” smette di essere psicologia e diventa fisiologia:
il corpo si rilassa, la mente tace, la presenza prende spazio.

E quando ti accorgi che certe persone, certi luoghi o certe abitudini non risuonano più,
non serve forzare nulla: non le giudichi, semplicemente non ti rappresentano più.
Perché il vero fascino non è in ciò che guardi, ma in quel te stesso che finalmente ti piace.

Dal “piffero automatico” alla presenza

Ogni volta che senti scattare un vecchio schema — una paura, una difesa, un pensiero stanco — ricorda: non è il mondo a tenerti fermo, è l’abitudine a non ascoltarti.
E basta un respiro per cambiare direzione.

Chiediti piano:

“Io, adesso, mi voglio come sono davanti a questa immagine, oppure no?”

Se la risposta è sì, respira e procedi.
Se la risposta è no, resta.
Perché è lì, in quel punto di imbarazzo o debolezza, che comincia la libertà vera.

Rifletti: l’arte di volersi nel divenire

Volersi non significa piacersi sempre, ma riconoscersi mentre si cambia.
Ogni giorno è un esercizio: portare se stessi nei luoghi, nelle relazioni, nei pensieri,
e accendere la realtà con la propria presenza.

Questo è il cuore di Controbattere – Oltre il Pensare:
non ribellarsi per principio, ma riconquistare il diritto di sentire.
Perché la vita non chiede che tu sia perfetto,
ti chiede solo di esserci, intero, dentro ogni trasformazione.

E ogni volta che ti chiedi

“Io, adesso, mi voglio come sono davanti a questa immagine, persona o situazione?”
stai già tornando a casa.

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