Prima degli Dei Unici: Il Sacro nella Terra e nel Cosmo

Cosa ci insegnano le divinità antiche sulla libertà spirituale.

Ogni volta che entri in una chiesa, in un tempio buddista o ti soffermi a osservare una moschea, fermati un istante e ricordati che ai tempi di Hammurabi, circa 4.000 anni fa, nessuno di questi simboli esisteva. Non c’erano croci, statue del Buddha o minareti che svettano verso il cielo. In quei tempi, l’umanità si orientava verso divinità come Marduk, Ishtar o Shamash, e i templi erano luoghi che riflettevano una connessione diretta con la natura, le stagioni e la vita quotidiana delle città. La spiritualità non era imposta, ma intrecciata al ciclo naturale della vita, come una danza tra l’uomo e il cosmo.

Oggi, osservando i simboli religiosi delle tradizioni monoteiste, è interessante notare come molti di questi siano stati trasformati in strumenti di potere, controllo e oppressione, allontanandosi spesso dall’essenza originaria della sacralità. Questo ci ricorda che il dominio terreno, mascherato da divino, ha spesso sacrificato la connessione con la vita, con gli altri e con la vera libertà di pensiero.

Pensaci: i luoghi che oggi visitiamo con meraviglia e rispetto sono spesso monumenti a una storia in cui il controllo e la sottomissione hanno prevalso sull’amore per il sapere e sulla libertà di essere.

Ricordare Hammurabi e il mondo che esisteva prima di queste religioni ci permette di vedere la storia da una prospettiva più ampia. Ci aiuta a capire che ciò che oggi appare eterno e immutabile non lo è stato per l’umanità intera. E forse, questa consapevolezza può liberarci dal peso di accettare senza critica ciò che ci viene imposto come verità assoluta.

La Terra come divinità vivente

L’universo di Dei: come la coscienza di Sé ci trasforma

Come spiega Claudio Simeoni nel suo libro La stregoneria raccontata dagli stregoni, anche la Terra è una coscienza di Sé, e noi abitiamo in un mondo pieno di coscienze di Sé, ognuna con il suo ruolo e la sua unicità.

Ai tempi di Hammurabi, la Terra non era semplicemente un luogo, ma un Dio vivente. Le persone non vedevano il pianeta come un mero sfondo per la loro esistenza, ma come una divinità generosa, una forza sacra che nutre ogni forma di vita. Questa idea, così profondamente radicata nelle culture antiche, ci invita a riflettere su quanto abbiamo perso nel modo di rapportarci al mondo naturale.

La Terra era vista come una presenza divina: con il suo cuore pulsante nelle profondità, il suo respiro nei fiumi, nelle foreste e nei deserti. Era un’entità viva che accoglieva, trasformava e rigenerava, offrendo se stessa senza mai esaurirsi. Non c’era un muro tra il sacro e il quotidiano, perché ogni ciclo della natura — dalla semina al raccolto, dalla pioggia alla luce del sole — era una manifestazione della divinità.

Questa visione ci ricorda che la Terra non è solo un luogo su cui viviamo, ma una coscienza divina che ci sostiene. Insegnava agli antichi che dare e ricevere non sono azioni separate, ma un unico eterno movimento, come il fluire delle stagioni o il continuo rinnovarsi del giorno e della notte.

Ancorare questa poesia alla nostra consapevolezza moderna è un atto potente. Ogni volta che entriamo in un luogo religioso o contempliamo simboli che pretendono di rappresentare il sacro, possiamo ricordare che il nostro legame originale con il divino non era mediato da istituzioni o dogmi. Era intessuto nella trama stessa della vita e della natura.

Pensare alla Terra come a un Dio ci restituisce una dimensione spirituale autentica, non costruita, ma vissuta. La generosità della Terra ci insegna che siamo parte di un sistema più grande, in cui non esiste separazione tra il sacro e il quotidiano, tra il dare e il ricevere.

L’universo come un insieme infinito di Dei

Claudio Simeoni, nel suo libro La stregoneria raccontata dagli stregoni, sottolinea che l’universo è popolato da coscienze di Sé, dove ogni elemento della natura e ogni essere porta con sé un frammento di questa consapevolezza divina.

Ai tempi di Hammurabi, l’universo non era visto come il dominio di un unico Dio, ma come un insieme infinito di divinità, ciascuna consapevole della propria esistenza. Questa concezione non divideva il sacro dal mondo, ma lo intrecciava profondamente a ogni aspetto della vita e della natura. Essere un Dio, per quelle culture, non significava dominare tutto, ma conoscere il proprio posto unico e prezioso in questo infinito mosaico.

L’acqua era un Dio, nel suo fluire consapevole, portando vita e rigenerazione. Il cielo era un Dio, con il suo abbraccio infinito e il suo sguardo che tutto contiene. Ogni elemento della natura, ogni forza visibile o invisibile, era riconosciuta come una manifestazione divina, consapevole del proprio essere e del proprio ruolo. Come afferma Claudio Simeoni in La stregoneria raccontata dagli stregoni, viviamo in un mondo pieno di coscienze di Sé, e riconoscere questa rete di consapevolezza significa comprendere la sacralità che ci circonda.

E noi stessi, in quel contesto, eravamo Dei nel momento in cui ci riconoscevamo come parte di questo immenso tutto. Non c’era bisogno di cercare un Dio distante o separato, come invece le religioni monoteiste hanno fatto credere, spesso al costo di milioni di vite, imponendo una visione che ha distorto il legame autentico con il sacro. Il divino era già qui, radicato nel nostro essere e nel nostro sapere di esserci. Ogni respiro, ogni passo, ogni azione portava con sé il riflesso del divino.

Questa visione ci invita a superare l’idea di un’unica autorità divina che tutto governa e a riconoscere l’infinita varietà di divinità che compongono l’universo. Non c’è un solo Dio da venerare, ma infiniti Dei da rispettare, dentro e fuori di noi.

Ancorare questa consapevolezza significa guardare il mondo e noi stessi con occhi nuovi, vedendo che non c’è separazione tra sacro e profano, tra divino e umano. Quando entriamo in una chiesa, in un tempio, o quando semplicemente guardiamo il cielo, possiamo ricordarci che la sacralità non è un’entità unica e distante. È nell’acqua che scorre, nel vento che danza, nella consapevolezza del nostro respiro.

Non c’è un Dio da cercare, perché il divino è già qui, presente in ogni cosa e in ogni essere che sa di esserci. Claudio Simeoni, nel suo libro La stregoneria raccontata dagli stregoni, esplora proprio questa idea, evidenziando come la consapevolezza di Sé sia la chiave per percepire il divino ovunque. Questo è il vero ancoraggio: vivere con la consapevolezza che siamo parte di un universo vivo e sacro, un’infinita danza di Dei consapevoli e interconnessi.

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