Parlare di Politica Senza Essere Politici: L’Alibi Perfetto dei Frignatori da Bar
Opinioni, lamentele e discorsi da bar non bastano: se non ti metti in gioco, non stai facendo politica.
In un’epoca in cui l’informazione corre veloce e le opinioni si moltiplicano, parlare di politica è diventato un passatempo sempre più comune. Dai bar ai social, tutti sembrano avere la soluzione in tasca. Ma cosa succede quando la politica diventa solo uno sfogo verbale, senza alcun legame con la vita reale?
C’è un vizio diffuso, anzi una dipendenza: parlare di politica come se fossimo dentro il Parlamento, mentre nella vita reale non si è capaci neanche di scegliere con chi andare a cena.
Uno parla di Europa, di Ucraina, di giornalisti corrotti, di America che decide tutto…
Ma poi non riesce a decidere nemmeno per sé stesso.
“Siamo tutti burattini!”
dice, mentre muove la testa secondo le opinioni preconfezionate che legge online.
“I giornalisti sono tutti venduti!”
ma non ha mai letto un libro di storia, né ha mai scritto una riga che non sia una lamentela.
Questi discorsi non sono politica. Sono anestesia.
Il teatrino del potere (quello che non si ha)
Lamentarsi del potere è il passatempo preferito di chi ha rinunciato al proprio.
Chi dice “è tutto inutile con questa Europa che non c'è”, in realtà sta dicendo:
“Non voglio prendermi la responsabilità di scegliere. Preferisco darti la colpa.”
In questo scenario, la rabbia diventa una scusa.
Un modo per non agire.
Un modo per non mettersi in gioco.
La truffa comincia con te
Il vero problema non sono i politici, i giornalisti o l’America.
Il vero problema è che ti piace crederci.
Hai bisogno di una favola per sentirti vittima.
Hai bisogno di qualcuno da odiare per non guardarti allo specchio.
La truffa non comincia con chi ti inganna.
Comincia con chi ha bisogno di essere ingannato.
Parlare di politica ha senso solo se quella politica ti riguarda.
Solo se sei disposto a fare scelte, a cambiare prospettiva, a vivere con coerenza.
Non servono opinioni urlate. Servono atti.
Ma è anche vero che parlare di politica – se fatto con consapevolezza e senza trasformarlo in sfogo sterile – può essere un atto civile, educativo, persino rivoluzionario.
Discutere di ciò che accade nel mondo può aiutarci a sviluppare pensiero critico, a non subire passivamente le narrazioni dominanti, a capire meglio le strutture invisibili che condizionano la nostra vita.
Anche una conversazione al bar, se fatta con apertura e ascolto, può contribuire al clima culturale e sociale di un paese.
Ma a una condizione:
che non diventi il passatempo preferito di chi ha rinunciato al proprio potere, e si rifugia nella lamentela perché non ha il coraggio di farsi sentire per ciò che è.
Il potere non è una poltrona. È una voce.
E se non parli da te, finirai sempre per ripetere le parole degli altri.
Altrimenti, è solo rumore.
E il rumore, come sempre, fa più scena del silenzio… ma non cambia niente.
E allora, come dovrebbe uno – davvero – parlare di politica?
Non parlando di ciò che gli altri dovrebbero fare, ma partendo da sé.
1. Dovrebbe chiedersi: “Dove sono io, in quello che sto dicendo?”
Parli di giustizia sociale? Bene. Ma sei giusto con le persone che ti stanno intorno?
Parli di libertà? Ok. Ma ti dai davvero il permesso di essere libero, ogni giorno?
Non puoi chiedere allo Stato ciò che neghi a te stesso.
2. Dovrebbe mettere il proprio corpo dentro le parole.
Basta con “lo Stato dovrebbe”, “la gente è stupida”, “nessuno fa nulla”.
“Io, davanti a certe ingiustizie, come mi comporto?”
“Io, se fossi là, che farei davvero, oggi, con le scelte che ho?”
3. Dovrebbe accorgersi che ogni sua scelta è già politica.
Restare in silenzio quando c’è un’ingiustizia.
Accettare un lavoro che ti svuota.
Fingere di non vedere la superficialità in chi ami.
Cercare la comodità invece della verità.
Tutto questo è politica.
È visione del mondo incarnata.
È dichiarare, con i tuoi atti, da che parte stai.
Parlare di politica senza parlare di sé è come parlare di amore senza mai essersi innamorati.
Suona bene. Ma non ti sporchi. Non rischi niente.
Quando uno parla di politica e non mette in discussione le proprie abitudini, le proprie paure, il proprio ruolo, allora sta solo ripetendo voci altrui.
Ma quando cominci a dire:
“Questa cosa mi tocca perché anche io, nel mio piccolo, sono complice…
oppure posso essere parte del cambiamento…”
allora lì non sei più solo un parlante.
Sei un essere politico.