Chi Può Davvero Decidere? Una Domanda per Chi Vive, non per Chi Galleggia
Quando la vita vera non fa sconti, decidere non è un privilegio: è una sentenza
Tutti parlano di libertà. Di scelte. Di possibilità. Di desideri. Ma provate a chiederlo a uno che si sveglia in un letto che non ha scelto, con una vita che gli è piovuta addosso come una grandinata nel sonno: "Puoi decidere?". E lui ti guarda come si guarda un pazzo, o un motivatore da Instagram in crisi di click.
No, caro mio. Non si decide niente se prima non si può decidere. E per potere, devi avere. Non solo soldi, ma tempo, contesto, salute, riferimenti, scelte precedenti che non ti hanno già inchiodato alla tua sedia. Perché se decidi, ma solo nel menu del giorno dopo — quello già scritto da altri — non hai deciso, hai scelto tra due galere.
E allora eccoci, nel teatrino dei finti liberi. Quelli che si sono fatti da sé (peccato che nessuno abbia visto la mano invisibile che li ha tirati fuori dal culo del sistema). Quelli che "se vuoi puoi" (salvo poi scoprire che possono solo loro, perché sono nati sul ponte di volo, mentre tu manco il porto vedi). Quelli che dicono agli altri di crederci, mentre loro credono solo ai conti.
E allora diciamolo: chi può decidere, è un privilegiato.
Ma chi SA di essere privilegiato, e invece di tacere ci costruisce sopra un impero di colpa attiva, allora forse merita una stretta di mano. Perché non si tratta di poter decidere. Si tratta di decidere che la tua decisione deve includere anche chi non ha avuto nemmeno l’occasione di provarci.
Quanti decidono davvero nella vita? Quanti scelgono non tra A e B, ma tra vivere o vegetare, tra agire o restare immobili, tra alzarsi o lasciarsi scivolare nel letto, nel vizio, nella delega, nell’apatia? E non per moda o depressione romantica, ma perché nessuno ha mai detto loro: “puoi” senza subito aggiungere “ma non sei abbastanza”.
Chi può decidere? Chi non ha più nulla da perdere, oppure chi ha abbastanza da poter perdere tutto. In mezzo c’è il popolo dei medi, dei cauti, dei dormienti. Quelli che parlano di libertà mentre la vendono a rate, insieme al SUV e alla facciata da brav’uomo con moglie infelice e figli stitici.
Chi può decidere? Chi rompe il contratto col mondo che l’ha cresciuto a forma di scusa.
Sì, tu che leggi. Tu che ti sei convinto che una decisione sia cambiare lavoro, o mandare a fanculo qualcuno su WhatsApp, o comprare casa con lo stesso mutuo che t’ammazzerà. Quella non è decisione: è adesione automatica a un copione scritto con l’inchiostro del “così fan tutti”.
Decidere è sputare sul curriculum e scrivere la tua storia, anche se sbagli ogni virgola. È rompere il telecomando delle scelte precompilate. È uscire di casa senza sapere dove andrai, ma sapendo che non vuoi tornare dove ti aspettano in silenzio per dire “te l’avevo detto”.
Chi può decidere? Chi ha smesso di chiedere il permesso. Chi ha smesso di aspettare che qualcuno lo liberi. Chi ha capito che la vera decisione non è un atto eroico, è un atto estetico.
Sì, estetico. Perché chi decide davvero, diventa bello. Non nel senso dei filtri, ma nel senso profondo del corpo che finalmente è presente a se stesso. Perché chi è presente, non ha più bisogno di approvazione: ha già se stesso.
Quindi, caro lettore — e scrivilo in fronte se non hai ancora deciso dove andare — decidere è un lusso, ma anche un dovere. E se ancora non puoi farlo, lotta. Ma non come i frustrati che si lagnano del potere altrui mentre affittano il proprio coraggio a Netflix.
Decidi almeno una cosa: non fare parte della recita.
Il potere più pericoloso non è quello di chi comanda, ma di chi comanda senza sapere di farlo.
Perché in un mondo dove tutti cercano una guida, il vero pericolo non è l’assenza di leader, ma la presenza di burattini convinti di essere burattinai.
E allora, se proprio devi decidere, decidi almeno una cosa: smetti di aspettare che qualcuno capisca per te.
Il vuoto al comando non si riempie con l’obbedienza. Si riempie con la coscienza.