Restituire una grotta è più facile che restituire un'idea
L'arte della restituzione culturale si ferma davanti al pensiero. La grotta Cosquer è stata ricostruita in ogni dettaglio. Ma chi ha il coraggio di ricostruire le idee cancellate dalla storia?
Nel 2022, a Marsiglia, è stato inaugurato il centro Cosquer Méditerranée, ispirato all'omonimo libro "Cosquer Méditerranée: La grotte restituée".
Un'opera totale: pitture rupestri, incisioni, atmosfere, tutto ricostruito con fedeltà filologica, tecnologica e turistica. Una cattedrale dell’illusione, in cui l’emozione del pubblico diventa il nuovo feticcio archeologico.
Eppure, dietro il luccichio dell’esperienza immersiva, si cela il vero assente: il pensiero che quelle pitture contenevano.
Il miracolo di Cosquer, si è detto. Ma i miracoli, lo sappiamo, hanno sempre un prezzo: restituiscono la forma, ma non il senso.
Chi ha più il coraggio di pensare?
Il problema non è che nessuno studi il passato.
Il problema è che lo si fa senza chiedersi cosa significano quelle tracce nella vita di chi le ha create.
Si resta incantati davanti a una mano impressa nella roccia, ma si evita come la peste la domanda più scomoda:
chi era quell’uomo? Che cos'era per lui la vita, il tempo, la morte, il mondo? E soprattutto: cosa glielo ha fatto pensare?
C’è chi questo lavoro lo fa, ed è ancora troppo solo. Parlo del libro "Il Sentiero d'Oro" di Claudio Simeoni: un tentativo necessario, radicale, e per questo ignorato da chi preferisce l’accademia alla responsabilità.
Perché interrogare davvero un’idea significa decostruire tutto l’ordinamento che su quell’idea si è fondato. E questo, si sa, è scomodo.
Chi ricostruisce oggi una grotta lo fa per ragioni educative, emozionali, spettacolari.
Ma chi ricostruisce un pensiero lo fa pericolosamente.
Perché un pensiero restituito non sta buono in teca. Si muove, cambia le parole, si infiltra nelle scelte. E può diventare virale, ribelle, impresentabile.
Come la filosofia del paganesimo originario, non quella da mercatino esoterico, ma quella che ha generato mondi, sfidato divinità, ordinato il caos non per dominarlo, ma per abitarlo.
La differenza vera
La grotta Cosquer è restituita per essere contemplata.
Il pensiero pagano, se restituito, chiede invece di essere vissuto. E questo è il vero scandalo.
Nessuno ha ancora avuto il coraggio di fare una restituzione filosofica della portata di quella tecnica della grotta. Nessuno – tranne poche voci – ha ricostruito il rapporto tra un’idea e l’ordinamento sociale che l’ha generata.
E qui, lo diciamolo chiaramente: chi restaura i muri e ignora le idee, è come chi lucida il cadavere e crede di avere ridato la vita. Una bugia profumata di lavanda.
Se oggi tutto si restituisce – dalle pitture ai suoni, dalle lanterne ai graffiti – nulla si ricostruisce davvero quando si tratta di pensiero.
Perché il pensiero non si può plastificare, non si può digitalizzare, non si può vendere al bookshop.
Chi ci prova, si espone. Si prende sputi, diffamazioni, silenzi. Ma dice la verità. O, meglio, apre la verità.
La domanda vera
La domanda non è: "riusciamo a restituire il passato?"
La domanda è:
"Siamo pronti a farci restituire dal passato ciò che abbiamo perso del nostro essere pensanti?"
Il libro "Cosquer Méditerranée: La grotte restituée" ci racconta come un gruppo di archeologi, scienziati, artisti ha salvato un capolavoro preistorico.
Ma chi salva i significati che quel capolavoro conteneva?
Chi osa tornare a chiedere:
cos'è il sacro, cos'è l’anima, cos’è la vita nella carne di un uomo senza Dio ma con tutte le forze del cosmo addosso?
Domande che il cristianesimo ha tritato, che l’accademia ha sterilizzato, e che solo un pensiero pagano, come quello espresso in "Il Sentiero d'Oro", osa ancora porre con audacia.
Controbattere è un verbo sacro
Non è il lamento del nostalgico. È il gesto del restauratore che, invece di ripulire la pietra, rimette in circolo l’infezione originaria: l’idea viva, scandalosa, impura.
Non ci serve una nuova grotta. Ci serve una nuova possibilità di attraversare il pensiero senza inginocchiarci.
Chi ricostruisce Orfeo? Chi Boezio? Chi restituisce la voce a chi ha dipinto nella caverna non per lasciare un ricordo, ma per parlare agli dèi?
Se vogliamo davvero restituire qualcosa, iniziamo da qui:
Non dalle pareti, ma dalle parole.
Non dai colori, ma dal coraggio.
Non dalla forma, ma dal fuoco che l’ha generata.
Questo fa un pensiero vivo. Non si lascia restaurare. Si lascia esplodere.
E chi non lo regge, continui pure a visitare le repliche delle grotte, con l’audio-guida in otto lingue e il negozio di souvenir all’uscita.
Ma chi sente che la restituzione è un atto rivoluzionario, è pregato di non entrare in silenzio.
Bussate.
Ma non alla porta del museo.
Alla vostra.
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