Se paghi poco, raccogli tempesta: elogio della mediocrità retribuita
“Se tratti i lavoratori come spazzatura e li paghi da fame, non aspettarti che ti restituiscano altro che spazzatura: è la legge crudele e semplice della dignità venduta a saldo.”
C’è una verità che circola tra i tavoli delle mense aziendali e i corridoi dei call center più di quanto circolino i soldi nei portafogli dei lavoratori: “Se paghi la gente poco, avrai gente di merda.” E non serve scomodare filosofi, sociologi o stregoni per capirlo. Basta guardare il mondo del lavoro, quello vero, non quello delle pubblicità patinate dove tutti sorridono e nessuno suda.
La società del risparmio sulla pelle degli altri
Viviamo nell’epoca in cui si risparmia su tutto, tranne che sulle consulenze dei motivatori aziendali. “Sii la versione migliore di te stesso!”, ti dicono, ma poi ti pagano come la versione beta di un’applicazione che nessuno vuole scaricare. E allora, la domanda sorge spontanea:
perché mai dovrei essere motivato, creativo, efficiente, se il mio stipendio mi ricorda ogni giorno che valgo meno di un abbonamento a una piattaforma streaming?
Il patto sociale: chi paga e chi scrocca
C’è chi paga le tasse, chi paga il caffè, chi paga pegno. E poi c’è chi non paga mai: imprenditori furbetti, evasori seriali, politici che fanno la morale dal pulpito di Montecitorio. Eppure, sono proprio loro a pretendere servizi impeccabili, strade lisce come le loro dichiarazioni dei redditi, sicurezza a ogni angolo e magari anche l’illuminazione pubblica a led, così da vedere meglio quanto poco ci pagano.
Claudio Simeoni, che di società ne ha viste e raccontate, direbbe che “chiamare le cose col loro vero nome” è il primo passo per non farsi prendere in giro. Nel suo libro La Stregoneria raccontata dagli Stregoni (senza essere torturati dai cristiani), lo ripete più volte: chiamare un parassita sociale con il suo vero nome non è un’offesa, ma un atto di igiene culturale. E allora chiamiamoli pure: ladri, furbi, parassiti sociali. Ma attenzione, perché in questo Paese chi rispetta le regole viene trattato da fesso, mentre chi le infrange viene invitato ai talk show.
La dignità? Un optional nei contratti a termine
La dignità, nel mondo del lavoro moderno, è diventata un benefit opzionale, come la macchina aziendale o il buono pasto.
Se ti lamenti, ti dicono che sei poco flessibile, poco resiliente, poco tutto. Ma mai che ti dicano “poco pagato”.
Quello no, sarebbe ammettere che il problema non sei tu, ma il sistema che ti vuole sempre più povero e sempre meno esigente.
Se vuoi la qualità, devi pagarla
Non c’è bisogno di essere stregoni per capire che la qualità non cresce sugli alberi, né si trova nei discount delle risorse umane.
Se paghi poco, ottieni poco. Se paghi meno, ottieni meno. Se paghi niente, ottieni il nulla cosmico, condito da una spruzzata di cinismo e una manciata di burnout.
E allora, quando ti lamenti che il servizio fa schifo, che il commesso è scortese, che l’impiegato sbaglia le pratiche, chiediti:
quanto li paghiamo?
Perché la motivazione non si compra, ma la demotivazione sì, e costa meno di un caffè al bar.
Il vero agguato è alla dignità
Simeoni parla di “arte dell’agguato”, ma qui l’unico agguato è quello che il sistema fa ogni giorno alla dignità dei lavoratori.
Un agguato silenzioso, fatto di contratti precari, salari da fame e promesse mai mantenute.
E poi ci si stupisce se la gente non ci mette passione, se sogna solo di andarsene, se si accontenta del minimo sindacale anche nell’entusiasmo.
Chiamare le cose col loro nome
In fondo, la frase dei lavoratori è solo la versione popolare di una grande verità:
se vuoi una società migliore, devi cominciare a pagarla meglio.
E se continui a risparmiare sulle persone, non sorprenderti se ti ritrovi circondato da mediocrità.
Ma tranquillo, almeno quella è gratis.
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